22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Peter Turkson e Nigel Topping

Le molteplici crisi che ci troviamo ad affrontare — sanitarie, economiche, ambientali, sociali — sono anche un’opportunità per creare nuovi sistemi che proteggano i nostri fratelli e sorelle più vulnerabili

Il mondo sta lavorando più che mai per affrontare l’emergenza climatica, con alcune delle più grandi città e regioni del pianeta e di imprese grandi e piccole impegnate ad eliminare le emissioni di carbonio entro la metà del secolo o prima, facendo di questa azione una parte fondamentale della loro ripresa dagli impatti devastanti della pandemia sulla nostra salute, sui nostri mezzi di sussistenza e sul nostro senso di sicurezza.
Mentre la corsa verso un’economia a zero emissioni acquista via via slancio, aumentano anche gli effetti del cambiamento climatico, della deforestazione e dell’inquinamento. Dagli incendi in Australia, Siberia e Stati Uniti, al crescente rischio, mentre invadiamo la natura, di contrarre virus zoonotici come Covid-19, non si tratta più di una minacce future, ma di una crisi chiara e presente. Il grido della terra e dei poveri sollecita più che mai a interventi urgenti.
Per questo motivo la presidenza britannica della Cop26, l’Onu e la Francia hanno ospitato il 12 dicembre, in occasione del quinquennale dell’accordo di Parigi, un vertice virtuale di alto livello per il raggiungimento degli obiettivi climatici, al fine di fornire una piattaforma per annunciare nuovi contributi più ambiziosi, determinati a livello nazionale, e strategie a lungo termine per raggiungere lo zero netto di emissioni; così come nuovi impegni di finanziamento per la lotta a favore del clima e i connessi piani di adattamento.
Nel suo recente discorso all’Assemblea generale dell’Onu, Papa Francesco ha detto che ci troviamo di fronte a una scelta tra due strade. Il modo in cui i governi e le imprese scelgono di riprendersi da Covid-19 e dal collasso economico potrebbe accelerare la nostra trasformazione in un mondo in cui tutti possano sperimentare la dignità e la sicurezza che meritano, o condurci a un aumento del rischio di inondazioni, caldo, siccità, malattie, disuguaglianza e povertà – tutte conseguenze della nostra crisi ambientale.
Nella sua enciclica Laudato Si’, Papa Francesco ha detto che dobbiamo sostituire i combustibili fossili «senza indugio». E come dicono chiaramente gli scienziati e i medici, il miglior futuro possibile, con zero emissioni molto prima della metà del secolo, creerà e garantirà più posti di lavoro e mezzi di sussistenza, ci renderà più sani e costruirà la nostra resistenza a shock futuri simili a questa pandemia.
In America Latina, ad esempio, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Banca Interamericana di Sviluppo, i cambiamenti per ridurre le emissioni inquinanti derivanti dal modo in cui produciamo e consumiamo i beni — soprattutto nel settore alimentare e agricolo — potrebbero creare 15 milioni di posti di lavoro in più entro il 2030 rispetto al consueto business as usual. Allo stesso modo, secondo il World Economic Forum, le operazioni orientate a proteggere e ripristinare la natura in tutto il mondo potrebbero generare 395 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030.
Le molteplici crisi che ci troviamo ad affrontare — sanitarie, economiche, ambientali, sociali — sono anche un’opportunità per creare nuovi sistemi che proteggano i nostri fratelli e sorelle più vulnerabili. Abbiamo la responsabilità di dimostrare che vogliamo perseguire un futuro più sano, più pulito e più sicuro. Se quest’anno i governi e le imprese daranno priorità alla salute pubblica e planetaria, prepareranno il terreno per un obiettivo ancora più grande nell’ottica del bene comune , in vista del summit sul clima Cop26 dell’Onu che si terrà a Glasgow e Milano nel novembre 2021. Questo è ciò che l’Accordo di Parigi del 2015 ha richiesto, fissando un obiettivo a lungo termine per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius, e un meccanismo attraverso il quale i Paesi potrebbero fornire il loro contributo a tale scopo. Il Regno Unito sta dimostrando una grande leadership in questo campo con la sua «rivoluzione industriale verde», che prevede la fine delle vendite di auto a benzina e diesel entro il 2030.
Nella corsa alla ricerca di soluzioni alla crisi climatica, sono necessari i doni e i talenti di tutti. Il progetto di proteggere la nostra casa comune richiede sicuramente la leadership dei governi, ma parla anche al cuore di ciò che i cristiani e gli altri credenti hanno di più caro. Affrontare il cambiamento climatico protegge le persone e i luoghi che amiamo. È un modo per onorare il nostro Creatore curando il creato e tutti coloro che lo condividono.
La catechesi settimanale di Papa Francesco sulla «Guarigione del mondo» ci ha offerto nuove riflessioni sulle crisi sociali e ambientali comuni. La Santa Sede ha lanciato un Anno della Laudato Si’ che si trasformerà in un piano settennale della Laudato Si’ e che riunirà milioni di cattolici in tutto il mondo chiamati ad agire. La Commissione Covid-19 della Santa Sede sta guidando la riflessione sui modi in cui dobbiamo cambiare. Lo Stato della Città del Vaticano sta facendo passi concreti per rendere più verde la gestione del Vaticano. La Santa Sede sta convocando amministratori delegati per l’energia e investitori per discutere dei modi in cui possono contribuire.
Questo perché, mentre assumere gli impegni è un primo passo cruciale, e necessario, verso la nostra trasformazione verso un’economia a zero emissioni di carbonio, la sfida che inizia ora, e nel prossimo decennio, sarà quella di apportare i cambiamenti necessari per adempiere a tali impegni.
In questo contesto, la campagna delle Nazioni Unite «Race to Zero» invita i governi locali, le imprese e altri soggetti a impegnarsi a zero emissioni entro il 2040, e a sostenere questi obiettivi con chiari piani d’azione. Impegni delle imprese e delle istituzioni per la corsa alle zero emissioni coprono ora un terzo della popolazione globale e la metà del Pil. Gli individui hanno un ruolo enorme da svolgere attraverso le loro azioni — come volare di meno, pedalare di più e mangiare più cibo locale e vegetale dove possibile — . Tutto ciò ha un impatto positivo sulla nostra salute e sul pianeta. Questo integra, ma non sostituisce, il ruolo essenziale dei governi che devono anche rispettare gli impegni presi a Parigi.
Al centro dei nostri sforzi deve esserci la giustizia climatica, prendersi cura di coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico ma che ne soffrono di più. Si tratta di una questione di giustizia profondamente radicata che richiede anche azioni urgenti per contenere l’inquinamento da carbonio, a cominciare dai Paesi e dalle imprese più responsabili. I nostri sforzi devono essere incentrati anche sul sostegno, anche finanziario, ai più vulnerabili per costruire la resilienza e adattarsi alle perturbazioni climatiche che stanno già vivendo.
La pandemia ci ha dimostrato che il mondo è forte solo quanto lo sono i più vulnerabili tra noi, e che è più facile, più sicuro e meno costoso prevenire i disastri piuttosto che reagire. Lo stesso vale per l’azione per il clima; la transizione verso nuovi posti di lavoro e industrie non può lasciare indietro le persone. Papa Francesco ha affermato molto chiaramente che affrontare il cambiamento climatico non riguarda solo l’ambiente, ma anche la giustizia sociale e la nostra salute fisica e spirituale. Con la sua leadership, e lavorando in collaborazione con le nazioni impegnate, possiamo rendere il nostro futuro più sostenibile, inclusivo, sano e giusto.

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