Fonte: Corriere della Sera
di Antonio Polito
Esattamente come nel Conte 1, i rapporti tra i partiti che compongono la maggioranza sono infatti basati sul «mors tua vita mea», non su una convenienza reciproca a far bene
Dall’Iva all’Ilva, breve storia di un governo. Quanto breve non sappiamo. Magari sarà anche lunga. Ma se continua così non è detto che sia un bene. In qualcuno dei suoi artefici sembra infatti albergare l’illusione che più i sondaggi vanno giù e più durerà, per evitare una catastrofe elettorale, sempre in attesa del prossimo Godot: il voto in Emilia di gennaio, e se si sopravvive a quello le nomine negli enti di primavera, e se si incassano quelle vediamo come arrivare a Pasqua. Non è così. I governi camminano sulle gambe del Paese. O cadono.
La desolante condizione del governo Conte 2 deriva da una ragione molto semplice: non ha una maggioranza. Non ce l’ha tra i cittadini, e questo era vero già all’atto di nascita; ma allora si poteva immaginare che, col tempo e con l’astuzia, riuscisse un po’ alla volta a riunire tutti coloro — non sono pochi in Italia — che non vogliono consegnare a Salvini i «pieni poteri» (e la scelta del prossimo capo dello Stato, che sarebbe un vero e proprio passaggio storico della vicenda italiana). Sono invece bastate poche settimane di navigazione per far capire
a tutti che l’obiettivo primario del governo giallo-rosa, e cioè fermare l’ascesa di Salvini e farlo un po’ alla volta dimenticare, sta fallendo. La performance del governo ha infatti rilanciato la Lega e la Meloni, e ha compiuto perfino il miracolo di resuscitare nei sondaggi Forza Italia.
Ciò che è peggio, il governo non ha nemmeno una vera maggioranza politica, pur disponendo di quella numerica in Parlamento. Esattamente come nel Conte 1, i rapporti tra i partiti che la compongono sono infatti basati sul «mors tua vita mea», non su una convenienza reciproca a far bene. Ognuno è convinto che il mal comune del governo possa essere un mezzo gaudio per sé. Con l’aggravante che stavolta il gioco è a tre: oltre alla competition tra i due big c’è Renzi, che cerca disperatamente voti a danno di tutti, pur ripetendo a tutti di stare sereni. Solo che il Matteo di questo giro vale sei volte meno nei sondaggi dell’altro Matteo. Il che rende il clima della lite continua nel governo anche più insensato, surreale, quasi kafkiano.
Il «festival delle tasse», messo su in occasione della Finanziaria, è stato da questo punto di vista un vero e proprio tentativo di suicidio politico, amorevolmente assistito da Italia Viva. Il governo ha tagliato 26 miliardi di tasse (23 del disinnesco dell’Iva e 3 del cuneo fiscale): non una cosa da poco, visto che Salvini aveva fatto cadere il Conte 1 «preventivamente» anche per evitare l’ostacolo della manovra e il rischio di impopolarità. Ma, ciò nonostante, il Conte 2 passerà alla storia per la tassa sulle merendine, che poi non ha messo, e per quella sulla plastica, che forse dovrà ridurre (o «rimodulare») ben al di sotto del miliardo previsto. Questa débâcle del «fisco percepito», come lo ha brillantemente definito Daniele Manca sul Corriere, non è solo frutto di una cattiva comunicazione, ma di una cattiva politica. Perché nell’infinito elenco di possibili misure che i tecnici del Tesoro ogni anno portano al tavolo della legge di bilancio per far cassa, il gioco perverso di posizionamento dei partiti ha fatto scegliere quelle di natura ideologica o pedagogica, per punire i «cattivi» e premiare i «buoni», secondo una visione etica del fisco che da sempre spaventa più di quanto ottiene.
Ai difetti storici della sinistra italiana si aggiungono poi le tare demagogiche del Movimento Cinque Stelle e la sua profonda divisione interna, ormai quasi esistenziale. Si deve a questa se il governo Conte rischia di passare alla storia per aver fatto chiudere l’Ilva di Taranto, l’1,4% del Pil nazionale. È ovvio che l’Italia non se lo può permettere. Le ragioni che consigliarono qualche mese fa di evitare una nuova (e permanente) campagna elettorale, sono oggi rese finanche più valide dall’aggravarsi della prospettiva economica e della tensione sociale. Ma i partiti che sono al governo devono sapere che se continueranno a tradire quelle ragioni per un sondaggio si prenderanno sulle spalle una colpa che gli italiani non dimenticheranno; mettendo così a rischio, oltre che le sorti del Paese, anche le proprie.
Nessuno dei partner di governo può davvero sperare di ergersi vincitore sulle macerie del governo. Ma per evitare il disastro bisogna che le cose cambino radicalmente, e subito. L’altro giorno la ministra Bellanova, reagendo con un tweet al comunicato di ArcelorMittal che annunciava il disimpegno da Taranto, ha chiesto che «il governo intervenga». Era una voce dal sen fuggita, ma utile a spiegare che cosa non va: i ministri e i rispettivi partiti devono ricordarsi che il governo sono loro, invece di parlarne in terza persona; e il presidente del Consiglio deve prendere nelle proprie mani quelle redini che già nella sua esperienza precedente gli sfuggirono.
Non siamo sicuri che ne abbiano ancora il tempo: ma di certo ne hanno il dovere democratico. .