Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Basso
Il 1° gennaio 2002 entrava in circolazione l’euro. Le eccezioni di Gran Bretagna, Danimarca e Svezia. La fine della banconota da 500. Le opportunità della parità con il dollaro
La moneta dell’Unione europea
L’euro entra in circolazione il 1° gennaio 2002, ma nasce il 1° gennaio del 1999 quando l’Unione europea era composta da 15 Stati (attualmente sono 28 e quando Londra uscirà saranno 27). Nei tre anni successivi rimane una moneta «virtuale», usata principalmente dalle banche e dai mercati finanziari. L’euro nasce con l’obiettivo di essere la moneta dell’Unione europea e infatti viene adottata da dodici Paesi su quindici allora membri della Ue: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Grecia. Con gli anni la Ue si allarga e aumenta anche il numero dei Paesi che entrano nell’eurozona. Ma per poter far parte del club dell’euro è necessario rispettare una serie di parametri economici: attualmente sono solo 19 gli Stati membri che usano l’euro. La Slovenia adotta la moneta unica nel 2007, nel 2008 è la volta di Cipro e Malta, l’anno dopo della Slovacchia, nel 2011 dell’Estonia, nel 2014 della Lettonia. L’ultimo Paese ad entrare nell’eurozona è la Lituania, che fa il suo ingresso il primo gennaio del 2015.
Il caso Grecia e i conti truccati
Atene entra a far parte del club dell’euro solo dal 1° gennaio del 2001 e non dal 1999 come gli altri undici Paesi: non aveva i parametri di budget a posto e di fatto la Grecia non li ha mai avuti. Nel novembre del 2009 l’allora primo ministro ellenico, George Papandreou, confessò pubblicamente che i bilanci economici inviati dai precedenti governi greci all’Unione europea erano stati falsificati con l’obiettivo di garantire l’ingresso della Grecia nella zona euro. È l’inizio della crisi greca (non ancora risolta), che nel 2015 ha avuto il suo picco con il rischio Grexit, ovvero l’uscita di Atene dall’euro scongiurata in extremis da un accordo tra i creditori internazionali rappresentati da Ue, Bce, Fondo monetario internazionale e il governo di Atene.
Il Trattato di Maastricht
Il Trattato di Maastricht firmato il 7 febbraio 1992 dagli allora 12 Paesi membri della Comunità europea (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna) ed entrato in vigore il 1° novembre 1993 definisce le basi per la creazione l’Unione europea, indicando i parametri economici e sociali che gli Stati devono possedere per farne parte. Definisce anche le tappe per la creazione dell’Unione monetaria, con i requisiti che gli Stati membri devono rispettare per poter adottare l’euro. Per quanto riguarda la finanzia pubblica i due parametri diventati ormai famosi del rapporto deficit/Pil sotto al 3% e del debito/Pil al 60%.
Le eccezioni di Gran Bretagna, Danimarca e Svezia
La Gran Bretagna non ha mai abbandonato la sterlina. Negoziò infatti una «deroga» (opt-out) dal Trattato di Maastricht che ha consentito a Londra di non adottare l’euro. Anche la Danimarca ha esercitato un’opt-out affidando la decisione se adottare o meno la moneta unica a un referendum: il 28 settembre del 2000 i danesi decisero di mantenere la corona. Anche la Svezia, che fa parte dell’Ue dal 1995, sta continuando ad usare la corona svedese. Invece per Andorra, Monaco, San Marino e la Città del Vaticano l’euro è la moneta ufficiale, ma viene utilizzata anche in Guadalupe, Martinica e Saint-Barthelemy nei Caraibi, a Mayotte e Reunion nell’Oceano Indiano, e nelle Azzorre, Canarie, Madeira, Kosovo e Montenegro.
Le banconote in circolazione, l’addio al taglio da 500 euro
L’euro è amministrato dalla Banca centrale europea e dal Sistema europeo delle banche centrali. La Bce è responsabile unico delle politiche monetarie comuni, mentre coopera con il Sistema delle banche entrali per quanto riguarda il conio e la distribuzione di banconote e monete negli Stati membri. Dal 2002 sono in circolazione monete bimetalliche da 1 e 2 euro, monete di colore rame ma di acciaio ricoperto di rame da 1, 2 e 5 centesimi. La Finlandia ha deciso di non produrre e di non far circolare le monete da 1 e 2 centesimi. Dal 2004 anche i Paesi Bassi non le producono più. Ci sono poi le monete da 10, 20 e 50 centesimi in oro nordico. Le monete hanno un lato comune a tutti i Paesi che hanno adottato l’euro e un lato con un effigie decisa dal singolo Stato. Le banconote da 5, 10, 20, 100, 200 e 500 euro sono invece uguali in tutta l’eurozona. Nel maggio scorso la Bce ha deciso di sospendere la produzione della banconota da 500 euro, la cui emissione verrà interrotta intorno a fine 2018 ma manterrà sempre il suo valore e potrà essere cambiata presso le banche centrali dell’Eurosistema per un periodo illimitato. La Bce ritiene che «l’uso di questa banconota possa facilitare attività illegali e di riciclaggio».
Verso la parità con il dollaro
L’euro è la valuta internazionale più importante dopo il dollaro. Il cambio si attesta inizialmente a 1,18. Ma il rapporto tra la divisa unica e il biglietto verde subisce numerose oscillazioni: toccherà un minimo di 0,83 nel 2001 e un massimo di 1,60 nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria statunitense. Ora che l’economia continentale pare in recupero, la valuta Ue si trova in uno dei punti più bassi nel suo rapporto col dollaro. La parità col biglietto verde è vicina, dopo che nei giorni scorsi è stato toccato il livello più basso da 14 anni a questa parte. Un deprezzamento legato all’annuncio della Federal Reserve statunitense, che lo scorso 14 dicembre ha aperto la strada a un aumento dei tassi d’interesse di 25 punti base.
L’euro causa di tutti i mali
Il passaggio dalla lira all’euro ha innescato una serie di polemiche riguardanti l’aumento del costo della vita. Il dibattito si è trascinato per anni, soprattutto in relazione al cambio di un 1 euro pari a 1936,27 lire, giudicato da diversi analisti troppo oneroso per l’Italia. E ora l’euro resta il bersaglio facile dei populismi che stanno crescendo in Europa. L’atteggiamento più diffuso è incolpare la moneta unica di molti degli effetti della crisi economica che ha messo a dura prova l’Italia e l’Europa in questi anni. Ma a ben osservare, l’economia italiana ha avuto più benefici che svantaggi dall’introduzione dell’euro. L’export ad esempio ha avuto un boom fra il 2005 e il 2008 per effetto della moneta unica. Molti dei problemi che la crisi ha evidenziato non sono legati all’euro ma alla mancanza di quelle riforme strutturali tanto invocate negli ultimi anni sia da Bruxelles sia dalla Banca centrale europea. È vero che fare parte dell’Eurozona ha imposto all’Italia e agli altri Paesi le cure dell’austerity, nel rispetto di quei parametri definiti dal Trattato di Maastricht che puntano alla solidità di bilancio. Ora che si intravede la ripresa economica Bruxelles sta tentando di superare la fase dell’austerità, accordando maggiore flessibilità a quei Paesi che restano in acque difficili. Ma la partita con i «falchi» dell’Eurozona è ancora aperta.