ELEZIONI EUROPEE
Fonte: La StampaLe campagne elettorali sono tutte centrate sui temi nazionali. Gli antieuropeisti saranno numerosi ma (forse) non rilevanti
Sarà il voto più lungo. Si comincia giovedì di buon’ora con l’apertura delle urne olandesi, trenta minuti dopo le sette e trenta prima che il Regno Unito arrivi secondo per colpa del fuso orario. La consultazione destinata a comporre l’ottavo parlamento europeo a suffragio universale si chiuderà domenica alle 23, nella notte dell’Italia, ultima a sigillare le urne. Nel frattempo 400 milioni di aventi diritto decideranno se è il caso di aver voce in capitolo nell’elezione dei 751 che li rappresenteranno a Strasburgo e Bruxelles. Cinque anni fa l’affluenza fu del 43 per cento, stavolta potrebbero essere meno e, se così fosse, sarebbe qualcosa di molto simile a un disastro.
Dal numero dei votanti dipende buona parte della partita. Questo non è un referendum sull’Europa, ma poco ci manca. La crisi ha tagliato le gambe alla crescita e all’occupazione, intaccando anche la fede nel processo di integrazione comunitaria. C’è una voglia diffusa di esprimersi contro scelte giudicate inefficaci piuttosto che per quelle da compiere per rimettere le cose a posto. L’incertezza regna sovrana in queste ore di vigilia e lo si vide dalla schizofrenia dei sondaggi, divergenti e ballerini. Da noi sono vietati, all’estero seguitano senza sosta. È un segno di rispetto per le tradizioni locali.
Gli ultimi due «poll» sono «made in the Uk», recapitati nella posta elettronica ieri mattina. Uno dà i conservatori in rimonta al secondo posto dietro i laburisti e davanti agli indipendentisti dell’Ukip. L’altro assegna a questi ultimi e al loro Nigel Farage la palma (virtuale) di primo partito dell’isola. Confusione.
Sulla nostra sponda della Manica la divergenza è di analoga portata. Il 14 maggio VoteWatch ha detto che i popolari europei sono avanti di poco, 212 seggi contro i 209 dei rivali socialisti e i 63 dei Libdem. Margine risicato, che sottolinea la necessità che la compagine cristiano democratica ha dei voti di Forza Italia, non sempre considerata il più opportuno degli alleati, soprattutto a causa delle ricorrenti sparate contro l’euro.
Poi è arrivato il Parlamento europeo che ha fotografato il Ppe in grande spolvero, attribuendogli 221 deputati a fronte dei 194 del Pse, con una forbice portentosa di 27 poltrone, il massimo da che sono cominciate le rilevazioni, e la conferma d’una leadership riconquistata a inizio marzo e mai perduta. Chi avrà davvero ragione?
Più stabilità si legge nelle stime sugli scranni che fanno rotta verso il vociante potente pacchetto di mischia formato da euroscettici e antieuropei. Potrebbero essere fra i 130 e i 140, abbastanza per infastidire i manovratori a livello nazionale, non per essere davvero rilevanti negli emicicli europei. Qui i tre partiti principali sembrano poter avere una solida maggioranza, ma chi lo sa davvero. È probabilmente l’euroelezione più incerta di sempre.
Gli osservatori concordano sul fatto che manca un orientamento preciso che guidi i cittadini e le loro intenzioni. Le campagne elettorali sono nazionali, si parla poco (e male) del senso dell’Europa, i cinque candidati di bandiera per la presidenza della Commissione Ue non hanno bucato lo schermo. L’astensione sarà un dato decisivo, visto che si tende ad accreditare la regola secondo cui più saranno gli elettori e più partiti tradizionali andranno bene. Stando alle regole europee potremmo cominciare a saperlo dopo le 23 di domenica, visto che prima sarà vietato diffondere dati definitivi. O quasi. Il parlamento europeo ha annunciato i suoi «exit poll» già alle dieci della sera, cosa che intendono fare in molti, anche prima. La tv olandese Nos ci ha già dato appuntamento per venerdì, dimostrando che – in fondo – in Europa chi vuole, e sa, riesce a fare come gli pare meglio.