Ha tutti i motivi per difendere il proprio modello di democrazia e di libertà. Ma serve un bagno di umiltà
Ok il tramonto della superpotenza americana. Ma l’Europa? È affaticata come non mai. Ieri è stato trovato un accordo sui nuovi commissari, compreso Raffaele Fitto, ma questo non cambia la realtà: l’ultimo momento in cui è stata il centro del mondo era il 9 novembre 1989. Quella sera berlinese, quando cadde il Muro, iniziò a frantumarsi anche la Cortina di Ferro che aveva diviso in due il mondo per oltre quarant’anni. Quattro decenni durante i quali il Vecchio Continente era stato il confine armato e lo spazio congelato del confronto tra l’Occidente e l’impero sovietico, il cuore della Guerra Fredda. Non solo geografico, anche terreno di scontro politico, di paragone ideologico, di modello contro modello, di manovre diplomatiche, di spie. La grande Storia passava da lì: il resto del pianeta era importante ma non così. Il controllo dell’Europa divisa in due definiva il potere nel mondo.
Dopo quel 9 novembre, il baricentro politico (ed economico) del pianeta ha preso a spostarsi velocemente ma gli europei non hanno saputo o voluto leggere l’enorme scivolamento. Hanno continuato a pensare di essere ancora il centro del mondo, fino ai nostri giorni. Il risultato sono le numerose crisi che incombono sulla Ue. Lo specchio che ti fa pensare di essere il più bello del reame, e il più buono, come nelle favole induce a commettere errori gravi.
Il maggiore è stato probabilmente l’avere pensato che il modello europeo fosse destinato a conquistare il mondo. D’altra parte, la Ue si allargava, il suo sistema di Welfare è attraente: e chi arriva nelle nostre città e nelle nostre campagne dall’America o dalla Cina vorrebbe rimanere. Perché il resto del mondo non avrebbe dovuto imitarci? La convinzione era che il superamento dello Stato nazionale in corso nella Ue avrebbe influenzato gli altri Paesi, i quali avrebbero prima o poi intrapreso la stessa strada. In realtà, il nazionalismo cresceva in più continenti e prendeva forme pericolose: molto concentrata sulla punta delle proprie scarpe, spesso costretta a risolvere crisi interne, l’Europa non lo ha visto, o lo ha sottovalutato. Il nuovo corso iper-autoritario di Xi Jinping in Cina, l’invasione dell’Ucraina lanciata da Vladimir Putin già nel 2014, autocrati rinvigoriti, la democrazia in ritirata sin dai primi anni del secolo, Donald Trump a Washington, la crescita del nazionalismo nella Ue. Al contrario delle aspettative europee, lo Stato nazionale e l’autoritarismo prendevano quota. L’esito è quello di oggi: lo spaesamento di fronte a un mondo pericoloso, l’impreparazione delle società europee ad affrontare i rischi crescenti posti dal disordine internazionale.
Anche gli Stati Uniti si sono illusi che i grandi conflitti fossero il passato, ma molto meno dell’Europa: lo status di superpotenza unica li ha costretti a pensare realisticamente in termini di potere. Già nel 2003, il segretario alla Difesa americano nell’amministrazione di George Bush, Donald Rumsfeld, parlava di «vecchia Europa», quella occidentale, opposta a una «nuova Europa», quella dell’Est che aveva una visione più chiara delle minacce che potevano venire dall’esterno. E molti politici europei sbeffeggiarono un analista politico americano, Robert Kagan, quando scrisse che «gli americani vengono da Marte, gli europei vengono da Venere». Bene: Venere, però, va difesa e l’Europa non è preparata a farlo. Ieri, l’Ucraina ha finalmente potuto usare armi britanniche per colpire in Russia, vedremo se anche Parigi e Berlino si allineeranno a Londra.
Se nel campo della Sicurezza e della Difesa l’illusione di essere il modello emergente è risultato nella pericolosa impreparazione di oggi, in economia il danno non è stato minore. Se sei il centro del mondo, è normale che sia tu a dettare le regole, a stabilire cosa è giusto fare e come. La Ue è così diventata, puntando sul suo attraente mercato, l’entità normativa con ambizioni globali. Come si è ricordato spesso negli ultimi tempi, non ha però creato un ambiente favorevole alla crescita economica e all’innovazione ma ha scritto volumi di regole proprio dove l’innovazione (anche quella degli altri) si imponeva, dal vasto mondo digitale all’intelligenza artificiale alle pratiche di limitazione del cambiamento del clima. Con due effetti boomerang distruttivi. Da un lato, la Ue arranca nella capacità di innovare, cioè di portare al mercato scoperte e pratiche nuove, quelle che oggi alimentano la crescita. Dall’altro, l’ambizione normativa globale, applicata a chiunque faccia business con la Ue, ha sollevato la diffidenza e l’opposizione dei partner commerciali: non solo degli Stati Uniti, le cui grandi imprese tecnologiche sono state punite da Bruxelles, ma anche dei Paesi emergenti che si sono visti imporre norme per loro difficili da rispettare, con le conseguenti accuse di imperialismo regolatorio (e di protezionismo).
L’Europa ha tutti i migliori motivi per difendere il proprio modello di democrazia e di libertà e per proporlo a chi lo desidera nel resto del mondo. Il peccato di hybris l’ha però accecata di fronte alle realtà della Storia e dell’economia. Forse c’è ancora tempo per essere più umili. Per non essere concentrati solo su noi stessi. Per guardare e interpretare il mondo fuori dai confini, da dove arrivano minacce ma anche opportunità. Non siamo più il centro del mondo, sin da quella notte di Berlino, 35 anni fa. Forse è triste, chi lo sa; ma è necessario ammetterlo per evitare altri errori gravi.