Fonte: La Stampa
di Marco Bresolin
«Parole, parole, parole…». La prima reazione che arriva al mattino da un alto funzionario Ue (non italiano) alla lettera di Giuseppe Conte è una citazione musicale. La celebre canzone di Mina non viene usata a caso. Serve per dire che nel messaggio del premier c’è tanto fumo, ma poco arrosto. E punta anche a sottolineare un altro aspetto considerato piuttosto inusuale: la lettera spedita a Jean-Claude Juncker e a Donald Tusk (tramite la rappresentanza italiana presso l’Ue) era scritta in italiano, non in inglese come si usa solitamente negli scambi tra Bruxelles e le capitali. «Se mai l’Italia dovesse riuscire a scongiurare la procedura – riassume una fonte Ue -, non sarebbe certo merito di questa lettera».
Il buco da colmare
Questo non vuol dire che la trattativa sia a un punto morto. Dalla Commissione confermano che “sono in corso i contatti” con il Tesoro. Però le proposte messe al momento sul tavolo dal ministro Giovanni Tria non sembrano soddisfare la controparte europea. Le richieste dell’esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker sono chiare: a fronte di un buco teorico di quasi 10 miliardi (sommando gli sforamenti del 2018 e del 2019), per riuscire a rientrare nei parametri quest’anno Bruxelles chiede almeno 4 miliardi di tagli “veri”, ossia di tagli strutturali. Dall’esecutivo Ue insistono poi per avere impegni seri sulla prossima manovra, in particolare su come il governo intende coprire i 23 miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia dell’Iva.
L’offerta italiana
Il quadro sarà più chiaro mercoledì, quando la riunione del Consiglio dei ministri provvederà all’assestamento di bilancio. La mossa servirà a certificare i famosi “risparmi imprevisti”. Fonti italiane parlano di un tesoretto che – tra maggiori entrate e minori spese – supererebbe i tre miliardi di euro, ai quali il governo aggiunge i due miliardi già congelati a dicembre e quasi un miliardo di euro che arriverebbe dai dividendi della Cdp. Farebbero più di sei miliardi e secondo Roma sarebbero sufficienti per trovare un compromesso. Ma per Bruxelles ci sono diversi problemi.
I conti non tornano
Innanzitutto alla Commissione vogliono garanzie sui risparmi che verranno certificati mercoledì. Perché manca ancora metà anno e chiedono nuove clausole anti-sforamento nel caso in cui le cose non dovessero andare come previsto. Poi ci sono i due miliardi rimasti congelati, che però per l’Ue non contano, visto che erano già stati calcolati. Infine gli utili in arrivo dalla Cassa depositi: è vero che aiuteranno ad abbattere il deficit nominale (ieri Conte ha parlato di un obiettivo al 2,1%), ma si tratta di entrate una tantum. Dunque non avranno alcun impatto su quello strutturale, ossia il disavanzo calcolato al netto del ciclo economico e delle misure eccezionali. Ed è questo il vero valore di riferimento per valutare il rispetto delle regole europee.
Slittamento al 2 luglio
Una cosa è certa: la trattativa permetterà all’Italia di avere un’altra settimana di respiro. La Commissione non proporrà l’apertura della procedura nella riunione del collegio dei commissari, prevista per mercoledì 26 giugno. Quel giorno dovranno arrivare risposte chiare da Roma. Diversamente il 2 luglio, nel giorno dell’insediamento del nuovo Europarlamento, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis sono pronti a scendere nella sala stampa di Strasburgo per annunciare il via libera. Che poi dovrà essere confermato dall’Ecofin il 9 luglio.
Lo stallo sulle nomine
La partita italiana si intreccia con quella sulle nomine per i vertici Ue. Ieri i 28 leader sono rimasti fino a notte fonda al tavolo, attorno al quale si erano seduti con posizioni molto distanti per via dello stallo creatosi in giornata. In Parlamento, liberali e socialisti hanno detto di non voler sostenere Manfred Weber. Che però continua ad avere l’appoggio dei popolari (senza i quali nessuna maggioranza è possibile). I negoziati sono andati avanti fino all’una di notte, ma si sono conclusi con un nulla di fatto. Per questo i leader hanno deciso di convocare un nuovo summit straordinario per domenica 30 giugno, in modo da trovare un accordo prima dell’insediamento del nuovo Parlamento europeo, che il 2 luglio dovrà eleggere il suo presidente.