Questa sarà l’Unione del futuro: progetti con benefici comuni, finanziati con debito comune. Dopo l’ambiente e la ricostruzione dell’Ucraina, sarà il turno della difesa, dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti
Mercoledì scorso la Corte costituzionale tedesca ha ordinato al governo di Berlino di cancellare 60 miliardi di euro di finanziamenti per l’energia pulita e altri progetti relativi alla transizione verde. Secondo la Corte quelle spese violano la legge federale che limita il ricorso al debito. (Tecnicamente la Corte non ha cancellato fondi già stanziati: ha dichiarato illegittima la decisione del cancelliere Scholz di dirottare alla transizione verde 60 miliardi che erano stati stanziati due anni fa per far fronte alla pandemia e non erano stati tutti spesi).
In Germania la decisione della Corte è stata giudicata un duro colpo non solo al cancelliere Scholz e alla coalizione che sostiene il suo governo, ma all’intero progetto di transizione verde la cui realizzazione viene messa in dubbio. Secondo la Corte, la transizione verde non può essere finanziata a debito: richiede o tagli di altre spese o un aumento delle tasse.
È possibile che la Corte ora usi il medesimo argomento per impedire il finanziamento a debito della ricostruzione dell’Ucraina, per la quale Banca mondiale e Banca europea per gli investimenti stimano un costo complessivo di 411 miliardi di euro nell’arco di dieci anni. Entrambi, transizione verde e ricostruzione dell’Ucraina, sono progetti obbligati. Il primo perché la sopravvivenza delle prossime generazioni potrebbe non essere possibile in un pianeta surriscaldato.
Il secondo perché con gli ucraini abbiamo sottoscritto un impegno implicito: voi difendete il vostro Paese e l’Europa, combattendo i russi al prezzo, sinora, di oltre 70 mila morti e 100 mila feriti. Noi europei, vinta la guerra, ci faremo carico di ricostruire il vostro Paese.
Notate che in entrambi i casi si paga ora a fronte di benefici — un pianeta vivibile e un continente libero — di cui godranno soprattutto le generazioni future. Questo è l’argomento che nella storia ha sempre giustificato il finanziamento a debito delle guerre. Durante una guerra i giovani pagano combattendo, spesso con la propria vita; le generazioni future, che godranno i vantaggi di vivere in un Paese libero, si fanno carico di rimborsare i debiti contratti per finanziare la guerra. Lo stesso vale per gli interventi necessari per ridurre le emissioni di CO2 e quindi limitare il riscaldamento del pianeta.
All’inizio del ‘900 in Gran Bretagna il debito era il 30 per cento del Pil del Paese. Nei decenni successivi due guerre mondiali furono in gran parte finanziate a debito, e così, alla fine degli anni 40, questo aumentò fino al 240 per cento del Pil inglese, otto volte il valore all’inizio del secolo. In seguito, le generazioni che non avevano combattuto le due guerre ripagarono quel debito, e neppure molto lentamente: trent’anni dopo, alla fine degli anni 70, il debito era già sceso da 240 a 70 per cento del Pil. L’opposto accade se il debito è emesso per finanziare una riforma pensionistica che anticipa l’età della pensione senza penalizzare chi va in pensione più giovane. In questo caso i benefici vanno tutti alla generazione corrente e i costi sono interamente trasferiti sui giovani di domani. Un buon esempio di come in economia il più delle volte non esistano verità immutabili («Il debito fa sempre male») e sia sempre necessario analizzare le situazioni specifiche.
Non è facile per un Paese organizzare simili trasferimenti fra generazioni, soprattutto se il debito è finanziato vendendo titoli pubblici a risparmiatori internazionali che possono dubitare della capacità di un Paese di ripagarlo. È anche per questo motivo che il programma europeo Next Generation Eu (Ngeu, di cui il Pnrr italiano è una quota) è, in parte, finanziato con titoli europei (eurobonds): perché il debito emesso per finanziarlo sia garantito dall’Europa nel suo complesso, non dai singoli Paesi, quindi sia più credibile e costi meno.
Se questi sono i motivi che giustificano l’emissione di debito «comune», l’uso che si fa di questo debito deve essere chiaramente delimitato e sorvegliato da un’istituzione indipendente, come la Commissione europea. Se insorgesse il dubbio che un Paese usa debito comune per pagare inefficienze che sono solo sue, come un’età di pensionamento particolarmente bassa, o, peggio, malversazioni nell’uso del denaro pubblico, è ovvio che nessuno accetterebbe di garantire debito comune. I fondi del progetto Ngeu servono proprio a questo: sono infatti limitati a interventi specifici: ambiente, investimenti nel digitale, scuole, ospedali, trasporti su rotaia e pochi altri, e comunque sempre per finanziare investimenti, mai spesa corrente. È incoraggiante che anni fa la Corte tedesca, approvando il Ngeu abbia accettato questo argomento.
Questa sarà l’Europa del futuro: progetti con benefici comuni, finanziati con debito comune. Dopo l’ambiente e la ricostruzione dell’Ucraina, sarà il turno della difesa, dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti e, come in parte è già accaduto con il programma Sure, il finanziamento di un’assicurazione europea contro la disoccupazione.
Troppo spesso pensiamo all’Europa come un dato acquisito anziché un processo, a volte tortuoso, ma che tende alla risoluzione dei problemi attraverso la composizione di interessi diversi. La capacità di rappresentarli in modo cooperativo e non conflittuale permette all’Unione di fare passi in avanti utili a ogni Paese membro. Il lavoro, durato quasi un anno, che la scorsa settimana ha portato all’approvazione di una discussa revisione del Pnrr e al pagamento all’Italia della quarta rata del piano, ne è un esempio.