Dall’Ucraina alla Georgia e alla Slovacchia, con il prolungarsi della guerra ai alimentano nuove tensioni, si crea un clima in cui fioriscono gesti efferati, tentativi di destabilizzazione, manovre oscure
È un’Unione europea sofferente, costretta a confrontarsi anche con l’odio, quella che ha sentito ben distintamente ieri, in ogni capitale, il rumore dei colpi di pistola esplosi contro uno dei suoi ventisette capi di governo, il primo ministro slovacco Robert Fico. Questo attentato, che si aggiunge a varie aggressioni avvenute nei giorni scorsi in Germania, è un impressionante segnale di allarme che non deve essere ignorato. Il pericolo della destabilizzazione è reale. La violenza politica esiste, può attraversare i confini e svilupparsi in una comunità di nazioni che pensavamo sicura da minacce interne, costruita nella pace. Si tratta ora di fare in modo che la casa comune rinforzi le sue fondamenta e sconfigga chi la vuole distruggere, da qualsiasi parte provenga. L’eco degli spari slovacchi — diretti a un premier che ha preso posizioni lontane dalla linea dell’Ue sulle armi all’Ucraina e la Russia — si sovrappone alle note dell’inno europeo risuonate durante le manifestazioni in Georgia contro la scandalosa legge varata per mettere il bavaglio alla democrazia con il pretesto delle «influenze straniere». Non tutti però sono stati attenti. L’Unione sta reagendo con mancanza di incisività a una mossa che mette a rischio il cammino di una nazione candidata.
Certo, la lettura ritardata di questa nuova emergenza sui diritti mette ancora una volta in evidenza lo stato di quasi-paralisi in cui versa la politica estera europea, provocato soprattutto (non è però l’unico problema) dal ruolo negativo dell’Ungheria di Viktor Orbán. Ma il suo significato è più ampio, non solo perché le proteste di Tblisi ricordano i giorni emozionanti di Piazza Maidan. Le incertezze europee rappresentano un elemento da considerare con preoccupazione mentre c’è una guerra di aggressione in corso, vicina a noi, che sta vivendo una fase decisiva: una guerra nella quale viene sparso sangue innocente e con cui il leader del Cremlino tenta di distruggere gli stessi valori calpestati in Georgia. I russi avanzano a Kharkiv, ma l’orologio dell’Ue cammina più lentamente. È indispensabile metterne al polso un altro, regolato anche sull’ora di Kiev.
Il dissidente georgiano Nika Gvaramia, in un’intervista al Corriere, ha spiegato chiaramente quali siano le decisioni da prendere per difendere la sua gente. «La pressione — ha detto — dovrebbe essere ancora più forte. Non abbiamo un dittatore ma degli oligarchi che si sono impadroniti dello Stato e hanno bisogno della politica per difendere i loro patrimoni. Per questo, con loro, serve un approccio diverso: sanzioni finanziarie, asset congelati divieto di ingresso per Ivanishvili e i suoi parenti all’estero». Quando avverrà tutto questo, se è vero che a Bruxelles perfino il testo di una dichiarazione è stato bloccato a lungo per la presenza di visioni diverse? Quello che non è stato fatto per la Georgia fa riflettere, guardando agli sviluppi della situazione in Ucraina, nella speranza che non vengano compiuti altri errori.
La lentezza è stata sempre una caratteristica dell’Unione europea. Nel passato è stata lo strumento per concretizzare, passo dopo passo, progetti che a prima vista sembravano irrealizzabili. Ora è diverso. Non si può aspettare. L’Ucraina sta combattendo per la libertà di tutti, va sostenuta nella maniera più efficace possibile. Deve arrivare senza ritardi il via libera definitivo all’accordo di principio sui beni russi congelati che potrebbe permettere di destinare al governo di Kiev tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro per finanziare il sostegno militare e la ricostruzione. Quello che sta accadendo sul fronte del conflitto impone poi che i fondi vengano consegnati al più presto. Evitando le solite attese. Come dovrebbe essere affrettata, prima che inizi a luglio la presidenza di turno ungherese, l’approvazione del nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca sul divieto del trasferimento del gas naturale liquido.
Questi sono solo alcuni esempi di un appoggio che non può diminuire. Anzi deve compiere un salto di qualità. Il prolungarsi della guerra alimenta le tensioni, crea un clima in cui fioriscono gesti efferati, tentativi di destabilizzazione, manovre oscure. La pace va perseguita con forza. Tanto in Ucraina quanto dentro l’Europa. È in gioco, come dice il presidente francese Emmanuel Macron, la sua stessa esistenza.