8 Settembre 2024
europa

Emerge l’ormai paralizzante incapacità dell’attuale cornice istituzionale comunitaria a garantire l’esercizio di funzioni politiche strategiche da parte degli organismi di governo dell’Unione

Il nulla di fatto – l’ennesimo – al recente vertice di Bruxelles non può più essere archiviato come un’accidentale battuta d’arresto nel glorioso cammino dell’unione europea. Mese dopo mese, la serie degli incontri infruttuosi si sta ormai allungando pericolosamente. Ciò obbliga a chiedersi se l’unione europea non stia rischiando di scivolare verso uno stato di sostanziale marasma. Termine con il quale in medicina si designa una condizione peculiare di progressiva e generale atrofia dell’organismo con corrispettiva riduzione delle attività funzionali. A maggior ragione, poi, perché stavolta il summit era stato preceduto da alcune prese di posizione che sembravano nascere da una forte consapevolezza dei gravi pericoli incombenti sul vecchio continente. Resi oggi tanto più allarmanti dalle minacciose reazioni russe alla strage di Mosca.
Appena qualche giorno prima dell’incontro la voce del presidente francese Macron si era alzata dall’Eliseo con toni, accenti e impegni che suonavano ispirati al Winston Churchill dell’ora più buia quando le panzerdivisionen di Hitler scorrazzavano per l’Europa. Parole ancor più impressionanti le sue perché delineavano l’accettazione della sfida di Putin alle democrazie europee da parte dell’unico leader Ue che detiene un potere di dissuasione nucleare di sicuro non ignorabile dal Cremlino.
Di peso non meno significativo c’erano anche state le parole messe per iscritto dal presidente del Consiglio Ue Charles Michel che, nella sua lettera d’invito al vertice ai 27 leader, aveva parlato di un’Europa esposta alla «più grande minaccia alla sicurezza dalla seconda guerra mondiale». Con simili premesse non era soltanto logico, ma doveroso che il summit di Bruxelles si chiudesse con l’annuncio di decisioni all’altezza degli allarmi evocati e dei gravi pericoli denunciati. Così non è stato e non lo è stato in modi e termini che hanno mostrato qualcosa di ben peggiore dell’ormai consueta frattura fra parole e fatti della politica comunitaria.
Ciò che è emerso – o meglio riemerso – è l’ormai paralizzante incapacità dell’attuale cornice istituzionale comunitaria a garantire l’esercizio di funzioni politiche strategiche da parte degli organismi di governo dell’Unione. Certo, è stato ribadito che bisogna aiutare l’Ucraina a difendersi da Putin e affermata l’esigenza di costruire una forza militare propria dell’Unione. Ma per fare l’una e l’altra cosa servono soldi, tanti soldi. Si potrebbe andare sul mercato a prenderli? La sola idea di bond comunitari ha fatto imbizzarrire i contabili della nuova lega anseatica. Per l’Ucraina si potrebbero sfruttare gli interessi maturati dai depositi russi congelati nelle banche europee? Sì, forse, ma con cautela: e se poi questo esproprio creasse precedenti inquietanti? Né ha mancato di riaffacciarsi l’ormai consueto ostacolo dell’ungherese Orban, al quale è consentito – chissà poi perché? – di continuare a stare con un piede a Mosca e con l’altro a Bruxelles avvalendosi di un potere di veto che si presta ad estorsioni di ogni genere. Insomma, per queste e altre ragioni, ci si continua a barcamenare secondo la frustrante regola marinara in base alla quale a dettare la velocità dell’intero convoglio europeo è sempre la nave più lenta ovvero più riottosa.
Il primo e più immediato non detto di questo marasma è che gli sventurati ucraini rischiano così di pagare il conto più salato delle irresolutezze europee. Perché potrebbero trovarsi anche presto costretti a negoziare con Putin un accordo nelle condizioni per loro peggiori, sedendosi a un tavolo della pace che sarà in realtà un banco di mercato degli schiavi. Nel quale l’Europa finirebbe sì per comprarsi la pace ma pagandola con la libertà altrui.
Il secondo non detto (e non dicibile senza vergogna) è che un simile finale di partita è quello a cui non pochi improvvisati pacifisti vorrebbero si arrivasse per riprendere a fare affari con Mosca. Dice nulla il fatto che Washington abbia chiesto a Zelensky di non bombardare le raffinerie russe per evitare una fiammata dei prezzi dei carburanti? E dice nulla che ora si sia scoperto che tra tutte le sanzioni economiche contro la Russia si era trascurato di inserire gli acquisti di grano? E, peggio ancora, dopo aver comprato e pagato a Mosca anche frumento raccolto nei territori ucraini occupati dall’invasore russo?
Grande è, dunque, la confusione sotto il cielo d’Europa. Ma la situazione – al contrario di quanto diceva Mao Zedong – è tutt’altro che eccellente. La idolatria dell’unanimismo egualitario e gli inchini al totem del potere di veto hanno diffuso i germi della doppiezza politica e tolto ossigeno al progetto di unione politica che rischia di essere la principale vittima storica di un silenzioso processo di autocombustione già in corso. Come dimostra il totale silenzio su questi nodi vitali nell’attuale campagna elettorale per il parlamento di Strasburgo.

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