La creazione, sempre più urgente, di un contingente militare comune in grado di rispondere agli attacchi dall’esterno e producendo in Europa tecnologie militari che attualmente acquistiamo negli Stati Uniti
Al contrario di Donald Trump — di cui «è sempre allettante pensare che non voglia dire quello che dice», scrive il Financial Times in un editoriale — Friedrich Merz è un uomo attento a pesare le parole. Nella notte berlinese del 23 febbraio — mentre ancora si contavano gli ultimi voti di un’elezione che ha spianato la strada per un governo «affidabile» da lui guidato, lasciando però aperti molti interrogativi sul futuro — il cancelliere cristiano-democratico in pectore ha ringraziato per le congratulazioni ricevute con un post su X, il social media dell’uomo di cui ha criticato le «interferenze» nella politica tedesca. Ha significativamente esordito affermando che «viviamo in un’epoca di grosse sfide e crisi» e ha poi aggiunto: «Insieme ai nostri alleati, la Germania darà il suo contributo alla libertà e alla sicurezza nel mondo». Frasi di circostanza? Al contrario. Non è abituato a lasciare niente al caso.
Crisi, alleati, libertà, sicurezza, le responsabilità tedesche. Sono parole altrettanto importanti, di quelle, clamorose, pronunciate dall’ex rivale di Angela Merkel poche ore prima: «La mia assoluta priorità sarà rafforzare l’Europa il più velocemente possibile in modo da raggiungere, passo dopo passo, una reale indipendenza dagli Stati Uniti». Così clamorose, con un accenno alla «grande indifferenza» dell’amministrazione americana per «il destino dell’Europa», che lo stesso Merz si è meravigliato di averle dette in diretta televisiva.
In questa nota di sorpresa del vincitore delle elezioni tedesche, meno inaspettata di quanto si possa credere, c’è tutto il vuoto che i leader europei dovranno colmare, anche con un impegno personale fino ad ora inimmaginabile, in una nuova epoca nella quale le due sponde dell’Atlantico sono diventate molto più lontane. Non è un linguaggio molto diverso, per restare in Germania, da quell’«inaccettabile» con cui il possibile nuovo «numero uno» socialdemocratico, Boris Pistorius, reagì al discorso di San Valentino a Monaco del vice presidente americano J.D. Vance. La grande coalizione ha compiuto già i primi passi sotto la pressione trumpiana.
Ma chi sono questi «alleati» di cui parla, senza nominarli, il successore di Olaf Scholz? Attualmente non sono gli Stati Uniti, anche se certamente il governo tedesco non vuole seppellire decenni di relazioni privilegiate con l’amico americano, asse portante della politica estera della Cdu. Ma è un dato di fatto che trentotto anni dopo quel giorno in cui uno degli statisti internazionali più amati da Merz, Ronald Reagan, invitò l’Unione Sovietica a fare cadere il Muro, il mondo sta vivendo nuove, anche se diverse, divisioni. La Germania non vuole né approfondirle né minimizzarle.
Per il momento Trump si è limitato a gioire per il successo di non meglio precisati «conservatori» includendo forse in questa formula anche l’estrema destra di Alice Weidel. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane tra Washington e Berlino, ma l’aggressività pre-elettorale è forse destinata a lasciare il segno. Era stata Angela Merkel a capire per prima, fin dal suo messaggio puntiglioso all’avvio del primo mandato di Trump, le premesse di quanto sta accadendo ora con il ritorno alla Casa Bianca di un uomo che non aveva mai amato.
Gli alleati della Germania sono a Parigi ma anche a Londra. Non è certo passato inosservato il fatto che Merz abbia parlato di avviare una cooperazione nucleare con la Francia e la Gran Bretagna, che possiedono entrambe un arsenale in grado di difendere l’Europa dalla minaccia della Russia. Se il cambiamento di prospettiva è storico, le mosse da compiere devono essere alla sua altezza. Gli alleati sono a Varsavia (dove Merz appena insediato si recherà subito dopo aver incontrato Emmanuel Macron), la capitale di un Paese che teme più Putin di quanto creda nell’Atlantismo vecchio stile. E a Roma, perché i tedeschi sanno che ogni scelta da compiere nella nuova situazione che si è creata ha bisogno anche dell’Italia. Il pilota del suo aereo privato, appassionato di bocce, ha tutti gli strumenti per capire che un ruolo più assertivo della Germania in Europa, con un governo che abbia finalmente una voce sola (socialdemocratici permettendo), non deve assomigliare al tentativo di ristabilire un’egemonia. La libertà e la sicurezza di cui il leader cristiano-democratico parlava nel suo tweet notturno sono un obiettivo di tutti. Anche se sarà necessario intendersi bene sul loro significato. E non lasciare solo, per nessun motivo, Volodymyr Zelensky.
Certo, soldati europei potrebbero proteggere una pace giusta in Ucraina. Ma si parla di questo scenario a volte rimuovendo il problema iniziale: la creazione, sempre più urgente, di un contingente militare comune in grado di rispondere agli attacchi dall’esterno e producendo in Europa tecnologie militari che attualmente acquistiamo negli Stati Uniti. Servirà la volontà comune di un gruppo di Paesi, evitando così il potere di veto richiesto dalle decisioni all’unanimità. Lo si sarebbe dovuto fare anche prima, ora è arrivato il momento. Il sogno di alcuni è diventato una necessità di tutti. Vedi alla voce «indipendenza» nel vocabolario di questa rivoluzione mondiale che è appena cominciata.