19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Stefano Passigli

Non è infatti possibile ignorare che a fianco degli effetti economici il fenomeno dei migranti, contribuendo al rafforzarsi di movimenti estremisti nei singoli Stati e al disgregarsi della vocazione unitaria dell’Ue, ha anche preoccupanti effetti politici


L’intensificarsi del fenomeno migratorio verso l’Europa può essere affrontato come un problema immediato cui cercare una soluzione di breve periodo , o analizzato in un’ottica di lungo termine. Nel breve, anzi brevissimo, periodo molte forze politiche e numerosi paesi (ai quali con Macron si unisce ora la Francia), nonché la stessa Unione Europea, fondano le proprie politiche di accoglienza sulla distinzione tra profughi e migranti economici. Ma se dal brevissimo termine passiamo ad un’analisi di più ampio respiro tale distinzione non può sostenere valide politiche da parte dell’Unione Europea o dei suoi singoli stati. I dati pubblicati il 21 giugno dal Dipartimento Affari Economici e Sociali dell’ Onu sulle prospettive di crescita della popolazione mondiale, e in particolare di quella africana, non lasciano dubbi in proposito. Nel 1950 la popolazione mondiale era di 2.5 miliardi di persone, di cui 221 milioni africani. Oggi la popolazione mondiale è di oltre 7.5 miliardi con oltre 1.25 miliardi di africani. Nel 2050 i dati stimati dall’Onu indicano 9.8 miliardi di persone di cui oltre 2.8 miliardi di africani, e nel 2100 oltre 11 miliardi di popolazione mondiale di cui quasi 4.5 miliardi in Africa.
In altre parole, mentre in Europa, nelle Americhe, e persino in Asia la popolazione si manterrà stabile o addirittura in lieve calo, in Africa pur rallentando il tasso di crescita l’aumento di popolazione renderà inevitabile che i flussi migratori diventino incontenibili e diretti innanzitutto verso l’Europa. Questi dati demografici indicano che, in assenza di politiche che modifichino alla radice la crescita della popolazione africana, il fenomeno migratorio non potrà che intensificarsi sempre più, e che la distinzione fra profughi e migranti economici non può costituire un valido discrimine.
L’unica possibilità per l’Europa di convivere con, o meglio sopravvivere a, un fenomeno di simili proporzioni non è certo quella di chiudere inutilmente le proprie frontiere, ma neanche quella di credere sulla scorta dei dati dell’Inps ad un benefico effetto — forzatamente solo a breve termine — del fenomeno migratorio. Non è infatti possibile ignorare che a fianco degli effetti economici il fenomeno, contribuendo al rafforzarsi di movimenti estremisti nei singoli stati e al disgregarsi della vocazione unitaria dell’Unione Europea, ha anche preoccupanti effetti politici. Occorre insomma affrontare il fenomeno nei suoi aspetti fondamentali di lungo periodo, da un lato sollecitando Stati Uniti e Cina ad unirsi all’Unione Europea in un grande piano economico per lo sviluppo dell’Africa, e dall’altro promuovendo nel continente africano il diffondersi di una cultura che permetta efficaci politiche di controllo delle nascite. In questo compito fondamentale sarà il ruolo delle grandi religioni e delle loro chiese. La Chiesa Cattolica non può , se vuole efficacemente aiutare la condizione degli ultimi, rifugiarsi in politiche meramente assistenziali senza cambiare la propria posizione in materia di controllo delle nascite. In un continente in cui alle antiche credenze animistiche va sostituendosi sempre più un Islam privo di gerarchie ecclesiali, ed anzi diviso tra interpretazioni diverse e tra di loro in conflitto della dottrina coranica, l’esempio della Chiesa Cattolica sarà determinante.
In Italia, il ministro Minniti svolge egregiamente il proprio compito di governo degli attuali flussi, da un lato negoziando a livello europeo un nuovo codice di comportamento per le navi delle Ong e soluzioni in grado di superare l’errore compiuto dal governo Renzi nell’accettare che gli accordi Frontex prevedessero l’Italia come paese di primo ingresso in Europa anche in caso di arrivo su navi battenti altra bandiera, e dall’altro promuovendo in Libia accordi in grado di controllare per quanto possibile i flussi di migranti. Al contrario, mentre il Governo si impegna al meglio, le forze politiche si stanno dividendo — più per ragioni elettorali che di principio — sull’adozione dello jus soli quale base della cittadinanza senza una adeguata consapevolezza dei problemi a più lungo termine che le dimensioni del fenomeno comportano. Potremmo limitarci a ricordare che tradizionalmente lo jus sanguinis si confà a paesi di emigrazione e lo jus soli a paesi di immigrazione, aggiungendo che nel caso italiano sono però auspicabili accorgimenti che ne limitino l’impatto immediato e lo rendano politicamente meno dirompente, pena il creare le condizioni per un suo immediato rigetto da parte di una possibile diversa futura maggioranza politica. In realtà occorre sottolineare che ancora una volta le nostre forze politiche peccano di miopia, scontrandosi su un problema immediato senza vedere che i numeri suggeriscono impietosamente che senza drastiche politiche del mondo sviluppato a favore del continente africano, e senza un altrettanto deciso cambiamento nell’atteggiamento delle chiese sul controllo delle nascite, l’attuale assetto politico, economico e sociale dell’Europa verrà radicalmente modificato.

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