19 Settembre 2024
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Iniziativa di Germania, Francia, Belgio, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Lussemburgo, Finlandia e Slovenia per superare l’obbligo dell’unanimità su politica estera, difesa e fisco

Sono successe due cose importanti in Europa negli ultimi sette giorni. E sono entrambe passate quasi inosservate in un panorama mediatico sempre più bulimico e iperattivo. Il 4 maggio i ministri degli Esteri di nove Paesi hanno lanciato un’iniziativa senza precedenti per riformare il sistema di voto dell’Unione. I capi delle diplomazie hanno proposto di abbandonare la regola dell’unanimità in favore della maggioranza qualificata sulle scelte di politica estera e di sicurezza. Su iniziativa di Berlino, Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Finlandia e Slovenia hanno firmato una dichiarazione comune, in cui definiscono «un processo decisionale più efficace e veloce, decisivo per preparare l’Ue al futuro e renderla attore geopolitico». I Paesi firmatari del documento, che si autodefiniscono Gruppo di Amici, si sono dati come missione collettiva di «agire in maniera pragmatica, concentrandosi su passi concreti» per estendere il ricorso alla maggioranza qualificata in politica estera, rimanendo nella cornice degli attuali Trattati.
A dare ancora più peso all’iniziativa, è venuto martedì, giorno della Festa dell’Europa, il discorso di Olaf Scholz davanti al Parlamento di Strasburgo, nel quale il cancelliere tedesco ha ripreso l’appello a superare il totem dell’unanimità in politica estera e in materia fiscale. «L’Europa — ha detto Scholz — viene ascoltata solo quando parla con una voce sola e la brutale guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ci ha mostrato quanto questa consapevolezza sia indispensabile». E ancora: «Non è l’unanimità, non è l’accordo al 100% su tutte le decisioni a creare la massima legittimità democratica possibile, ma la ricerca di compromessi che rendano giustizia anche agli interessi della minoranza».
«Per me è una rivoluzione, quella del voto a maggioranza è l’unica via possibile», ha commentato Romano Prodi nel dibattito online promosso da Emma Bonino e Benedetto Della Vedova e al quale hanno preso parte anche i senatori Mario Monti e Pier Ferdinando Casini. L’ex premier e presidente della Commissione ha fatto l’esempio della Tunisia, un Paese ormai in preda al caos e sul quale oggi come mai «l’Unione europea deve decidere una linea d’azione comune».
Ma tutto ciò al momento non è dato. A dispetto della forte coesione mostrata negli ultimi 15 mesi di fronte alla guerra in Ucraina, l’Europa ha infatti vissuto momenti imbarazzanti, nei quali un solo Paese ha spesso preso in ostaggio decisioni cruciali e necessarie. Così, grazie alla clava dell’unanimità, l’Ungheria ha potuto bloccare per mesi l’embargo sul petrolio russo, un pacchetto di aiuti da 18 miliardi a Kiev o l’accordo mediato dall’Ocse di un’imposta minima sulle società del 15%. Tutti veti tolti soltanto dopo che le richieste di Budapest sono state soddisfatte. Spesso succede addirittura che le ragioni dei Paesi che mettono il veto non abbiano nulla a che vedere con la decisione presa in ostaggio, come accadde nel 2020 quando Cipro bloccò le sanzioni alla Bielorussia a causa di una disputa sulla Turchia
Che sia stata la Germania a lanciare il Club di Amici e che a questo abbiano subito aderito i Paesi più grandi (Francia, Italia e Spagna) oltre ai fondatori del Benelux, è un ottimo viatico, ma non una garanzia di successo. «Occorre passare dalle parole ai fatti e sappiamo che le resistenze non mancano», ha notato la leader di +Europa. «Il rischio di un semplice gesto di buona volontà esiste», ha avvertito Monti, che insieme a Casini si è impegnato ad agire in Senato con varie iniziative di stimolo all’azione del governo.
Sul fondo però, un primo varco è stato aperto. Nove Paesi non bastano per una maggioranza qualificata, che ne richiede almeno 15 a condizione che rappresentino più del 65% della popolazione dell’Ue. Ma se Berlino, Parigi, Roma e Madrid si sono decise a uscire allo scoperto su un tema da sempre esplosivo è il segnale del nuovo Zeitgeist prodotto dalla guerra in Ucraina, che ha già portato l’Ue a infrangere tanti suoi tabù, a cominciare dalle forniture militari a un Paese aggredito. È dal compromesso del Lussemburgo (1966) che ci trasciniamo il dogma dell’unanimità, imposto de facto dal generale De Gaulle e poi codificato nei Trattati di Maastricht e Lisbona. Ora i tempi sono maturi, anche perché ci sono già molte materie sulle quali l’Ue decide a maggioranza. Poterlo fare su politica estera, difesa e fisco segnerebbe il definitivo attraversamento della sua linea d’ombra verso una vera dimensione geopolitica.

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