21 Novembre 2024

La tecnologia prende il sopravvento per il potere seduttivo che ha sui giovani. Fra genitori e figli sembra più facile parlarsi con lo smartphone che di persona

Parlando di Intelligenza artificiale (Ia) parliamo di una cosa molto lontana e molto vicina. Molto lontana, perché a decidere a suo riguardo sono pochissimi. Quanti saranno nel mondo? Otto? Ottanta? Non credo molti di più, tanto immenso è il potere tecnologico ed economico per poterlo fare. Molto vicina, perché essa ci riguarda tutti direttamente, nessuno escluso degli otto miliardi che siamo. Questa sproporzione tra un vertice piccolissimo e una base immensa è uno degli elementi più peculiari e più preoccupanti della materia detta Ia.
Per questo è necessario che ognuno chiarisca a se stesso cos’è per lui o per lei l’intelligenza. La domanda è personale: cos’è per te l’intelligenza? Cosa pensi che essa rappresenti nel mondo? E cosa rappresenta per te? È uno strumento o uno scopo? Te ne servi o la vuoi servire? Io penso che tutto dipenda da qui: da questa opzione fondamentale. Se l’intelligenza è uno strumento in funzione di altro (ricchezza, potere, piacere), avremo un determinato approccio all’Ia. Se invece è uno scopo, avremo un approccio del tutto diverso. Se poi l’intelligenza è “lo” scopo del nostro vivere, soprattutto quella intelligenza associata alla giustizia e alla bontà che si chiama saggezza, allora l’approccio sarà ancora diverso. A mio avviso, quello giusto.
Io penso che l’intelligenza sia il principio strutturale e strutturante del mondo. Non esiste fenomeno fisico che non sia il risultato di un’aggregazione, tutto procede da una logica di cooperazione intrinseca alla materia e all’energia, tutto è armonizzazione. Certo, esiste anche il conflitto, spesso molto violento, ma dal conflitto e dalle catastrofi sorgono ulteriori livelli di organizzazione e di complessità. Non sto dicendo che viviamo nel migliore dei mondi, sto dicendo che “viviamo”: il che non è per nulla scontato all’interno di questo immenso universo buio e freddo. In esso, grazie all’intelligenza in quanto creazione di legami a partire da quelli atomici e subatomici, è sorta la vita. Ogni vivente è un centro computazionale che tende alla raccolta e alla elaborazione di informazioni, ogni vivente è un computer, e come tale è un’espressione dell’intelligenza cosmica. L’intelligenza non è una peculiarità umana, è l’anima del mondo.
Esiste però una peculiarità quantitativa e qualitativa dell’intelligenza umana che ci ha portato a coltivare fini non solo naturali. Così sono nate la tecnica e la cultura. L’essere umano è tecnico nello stesso momento in cui è sapiens. Homo technologicus e homo sapiens sono la stessa cosa, l’origine della tecnica e della cultura è la medesima: è il superamento della necessità naturale. Ora attenzione: l’Ia consiste nel trasferimento di questa nostra più preziosa peculiarità a delle macchine. Sono state costruite da noi, ed esse dal punto di vista della capacità di raccolta e di elaborazione di informazioni in cui consiste l’intelligenza, diventano come noi; anzi, più potenti. Il che vale non solo per processi lineari come il calcolo, ma anche per processi non lineari come la creatività artistica e musicale, e persino per la capacità di generare empatia. Cosa significa questo trasferimento della nostra intelligenza e dei nostri sentimenti? Cosa significherà tra qualche decennio? Un progresso o un regresso del nostro essere umani?
Per rispondere è necessario che ognuno chiarisca a se stesso cosa significa “umano”. Io penso che significhi libertà. Un essere umano compie la sua umanità quando è libero, ed è libero quando sviluppa l’insieme di queste tre qualità: consapevolezza, creatività e responsabilità. Noi non siamo solo intelligenza, siamo anche la libertà di utilizzarla in un modo o nell’altro. Quindi quanto più l’Ia promuove la libertà, tanto più è da considerare con favore. Quanto meno, meno.

Coltello dalla lama affilata
Si impone però quest’altra considerazione, ovvero che bisogna valutare l’Ia non solo in se stessa ma anche alla luce del contesto in cui giunge a operare. Come considerare un coltello dalla lama affilatissima che taglia all’istante ogni cosa? Se lo considero in sé non posso che trovarlo uno strumento molto utile, ma se lo considero alla luce del contesto in cui si trova, e se quel contesto è una scuola elementare, allora il giudizio deve mutare radicalmente. Fino a quando l’Ia è usata dai ricercatori nei laboratori, dai medici negli ospedali e in genere da esseri umani maturi non mi fa per nulla paura, anzi la valuto positivamente e la saluto con gioia. Maneggiata però da esseri umani immaturi e imbarbariti può risultare deleteria. E oggi assistiamo a un preoccupante processo involutivo. Kant salutava i suoi giorni come “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità”, noi ci troviamo alle prese con ciò che Amos Oz ha definito “infantilizzazione delle masse”.
Il Novecento è stato il secolo della tecnica come strumento. Questo nuovo secolo sarà ricordato come il secolo della tecnica divenuta finalità? La tecnica infatti è sempre più autopoietica, cresce, evolve, si espande, e giungerà presto a modificare il nostro mondo esteriore e il nostro mondo interiore. Lo sta già facendo, a passi da gigante.

Una questione di istinto
Tutti noi d’istinto pensiamo che possiamo servirci o no della tecnica rimanendone comunque i padroni. E in effetti possiamo avere o non avere, usare poco o usare molto, le tecnologie. In teoria. In pratica però occorre fare i conti con il loro potere seduttivo, soprattutto sui giovani, e facendoli ci si accorge che la tecnica è ormai in procinto di sbaragliare ogni altra forma di informazione, di conoscenza e persino di comunicazione: molti genitori sostengono che ha più effetto parlare con i propri figli tramite il cellulare che non vis a vis. Presto a parlare con i figli si manderà la macchina umanoide dotata di intelligenza e di capacità di suscitare empatia che circolerà nelle nostre case, la quale risolverà i conflitti perché saprà trovare sempre le parole giuste senza scomporsi mai (come invece capita agli umani alle prese con i propri figli o i propri genitori), e così le saremo tutti grati perché l’armonia regnerà nelle nostre case grazie al nuovo oracolo di Delfi personalizzato. Ma chi sarà veramente il padrone?
Il vero problema non è che le macchine diventano come gli umani, ma che gli umani diventano come le macchine. Dismessa l’illusione di rimanere i macchinisti, ci stiamo trasformando in macchinari. È in atto un cambiamento del mondo interiore in base a cui noi diventiamo sempre più simili alle macchine, nel senso che il nostro pensiero è sempre più esecutivo, lineare, piatto, schematico: sì o no, bianco o nero, ti odio o ti amo. E il tutto sempre più velocemente, presto, prestissimo, immediatamente!
L’intelligenza però non è solo uno strumento operativo e performante problem solving; è anche uno strumento critico dubitante problem posing, elaborazione controcorrente, opposizione, resistenza, sogno, immaginazione, utopia. La mente oggi però tende a operare in modo sempre meno libero e che la sua macchinizzazione sia in atto e stia vincendo lo vediamo non solo nelle aziende, ma anche negli ospedali e negli ambulatori, e persino a scuola e in università. L’impero della burocrazia è il segno più evidente del mondo comandato dalla macchina e dalle sue procedure. L’Ia incrementerà la dittatura della burocrazia e la pedante pignoleria dei burocrati, oppure invece ce ne potrà persino liberare?
Il nostro cervello è un organo plastico, sempre in divenire; attraverso l’uso attiva alcune funzioni, attraverso il non-uso ne disattiva altre. Quand’ero ragazzo sapevo a memoria decine di numeri telefonici, oggi con la rubrica telefonica non so neppure quelli dei miei figli.
Tutto questo ci dovrebbe preoccupare non poco, perché la dialettica servo-padrone di cui scriveva Hegel nella Fenomenologia dello spirito, e che tanto piaceva a Marx per il capovolgimento dialettico che prevedeva, può realizzarsi nella relazione uomo-macchina.
Il fine della vita umana è la libertà, non una serie di prestazioni tecnico-operative, che pure sono importanti. Per questo il fine dell’Ia deve essere e rimanere l’intelligenza “naturale” nella sua capacità di generare libertà, non i conti in banca di quei pochissimi che la producono e presto ce la venderanno, o il potere di quei dittatori che già se ne servono e se ne serviranno sempre più per rafforzare il loro dominio.

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