Fonte: Corriere della Sera
di Paolo Mieli
In Parlamento (e nel Pd) molti ritengono che non dovrebbe essere rinnovato il contratto e andrebbero sospesi i finanziamenti alla guardia costiera nordafricana
Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha chiesto alla ministra della Giustizia Marta Cartabia l’autorizzazione ad aprire un fascicolo contro gli uomini armati della cosiddetta Guardia costiera libica che il 30 giugno, con la motovedetta Ras Jadir, hanno aperto il fuoco contro un barcone di migranti che poi hanno cercato di speronare (fortunatamente senza successo). La documentazione di questo misfatto è in un filmato girato dall’aereo Seabird della Sea Watch nonché nei tracciati aerei e navali accuratamente elaborati dal giornalista di «Radio radicale» Sergio Scandura. Filmati (oltre cinque minuti) e documentazione di Scandura sono a tal punto probanti che persino il governo di Tripoli si è visto costretto a riconoscere che quel giorno qualcosa non andò per il verso giusto. Il nostro ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha seccamente condannato come «inaccettabile» il comportamento dei libici. Il procuratore Patronaggio ipotizza che si possa addirittura configurare il reato di «tentata strage».
Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, segretario, tesoriera e presidente dei Radicali italiani hanno pubblicamente auspicato che le immagini prodotte dalla ong e l’elaborato del giornalista della loro radio facciano aprire gli occhi a tutti i nostri connazionali sulle malefatte di quei supposti guardiani delle coste libiche. I parlamentari di Leu Nicola Fratoianni (segretario di Sinistra italiana) ed Erasmo Palazzotto hanno chiesto che il governo Draghi sospenda i finanziamenti a quella sospetta guardia marittima composta da personaggi di incerta provenienza.
L’occasione per la cancellazione dei sussidi italiani ai guardiani delle coste tripoline (la motovedetta Ras Jadir fu un dono del governo guidato da Paolo Gentiloni) potrebbe essere fornita dalla discussione che questa settimana verrà affrontata nelle commissioni Esteri e Difesa della Camera. Esame che avrà come oggetto proprio il rinnovo del «contratto» con i libici stipulato ai tempi dell’esecutivo Gentiloni e rinnovato con i due governi presieduti da Giuseppe Conte. Un contratto fin dall’inizio criticato da Emma Bonino, Matteo Orfini (Pd), da Fratoianni, dai quotidiani «Avvenire» e «Manifesto».
Bonino, Fratoianni e Orfini, assieme a pochissimi altri parlamentari, intellettuali e giornalisti, sono rimasti a lungo isolati nella loro battaglia. Fino al 25 febbraio 2020 quando l’assemblea nazionale del Pd votò all’unanimità una mozione in cui si sosteneva che «la Guardia costiera libica non esiste», ciò che «è dimostrato da numerose inchieste giornalistiche e dai report delle Nazioni Unite» da cui si capisce «come in realtà si tratti di milizie armate sovente in lotta tra loro e molto spesso coinvolte in prima persona nel traffico di migranti e nella gestione dei lager». Ragion per cui non meritavano di ricever più neanche un euro dalle finanze italiane.
Poi però, come talvolta accade per le decisioni di quel partito, il deliberato rimase lettera morta e tutto procedette come prima (nonostante il Pd avesse un ruolo assai rilevante nel secondo governo presieduto da Conte). Colpa di una distrazione provocata dal Covid, forse. Per una coincidenza, però, nel giorno in cui si era pronunciato unanime con quella mozione, il Pd aveva anche eletto a presidente Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto. Anche questa votazione era avvenuta all’unanimità. Parve un bel colpo di immagine portare una giovane donna alla testa di un partito assai sensibile — nei documenti e nelle dichiarazioni ufficiali — al tema della promozione di figure femminili. Senonché Cuppi — rimasta presidente dopo il passaggio da Nicola Zingaretti ad Entico Letta — non si è mai accontentata di rivestire un ruolo per così dire ornamentale. E nei giorni scorsi — prima dell’aggressione di cui, Cartabia consentendo, si occuperà Patronaggio — ha rilasciato a Daniela Preziosi una clamorosa intervista. Nel colloquio con la giornalista del «Domani», Cuppi — forse memore della coincidenza tra la sua elezione e quel voto contro gli aiuti economici alla Guardia costiera tripolina — esortava il proprio partito ad uscire dal vago e a votare no, adesso, a quel genere di finanziamenti alla Libia. Un no secco. Bilanciato dall’erogazione della stessa somma di denaro per sovvenzionare lo sminamento di alcuni quartieri di Tripoli, il potenziamento dell’ospedale di Misurata e per chiunque in terra libica fosse impegnato in attività benefiche compiute nel rispetto dei diritti umani.
All’interno del partito le dichiarazioni di Cuppi sono cadute purtroppo nel vuoto. Ci sono moltissime giustificazioni a tale sordità dal momento che è sotto gli occhi di tutti l’impegno del Pd a favore del ddl Zan, della riforma della giustizia, del rinnovo delle cariche Rai e delle infinite conseguenze politiche generate dalle questioni suddette. Ma forse per il partito di Letta è giunto il momento di prestare attenzione, oltre che agli innumerevoli problemi del momento, anche a quel che ha dichiarato Valentina Cuppi. E di dire con chiarezza se e come intende onorare l’impegno preso solennemente un anno e mezzo fa.