Le due dighe costruite da Tito sbriciolate, l’onda improvvisa, i cadaveri: così l’uragano ha travolto la Cirenaica. Nel Paese a pezzi dalla fine di Gheddafi, lo stallo politico impedisce ogni ricostruzione
Voci di donne e bambini fanno da sottofondo al mugghiare dell’acqua melmosa che dall’imboccatura della wadi tra le montagne si riversa irrefrenabile tra le abitazioni. È notte fonda, le luci nel centro si spengono una a una, sino al buio vibrante di paura. In pochi secondi quello che solitamente, anche nei mesi invernali, è un rigagnolo di fogna puzzolente si trasforma in un’onda terrificante di distruzione e morte. Le voci si fanno acute, tremebonde, invocano Allah. Un altro video mostra decine e decine di cadaveri, che diventano centinaia alla luce del giorno, deposti dalla gente sulla strada di fronte all’ospedale Wahda, nella zona del centro, non lontano dal mare, dove adesso i pescatori stanno cercando di recuperare i corpi di quelli trascinati al largo. «Nessuno era pronto. Dormivamo quando ci ha colpiti il disastro. È avvenuto velocissimo, non c’è stato tempo per fare nulla», raccontano i testimoni che fanno arrivare i video delle loro storie tramite i pochi che sono riusciti ad abbandonare la zona del disastro o li postano in rete sui social tramite i rarissimi collegamenti satellitari.
Probabilmente non è sbagliato né esagerato definirlo il «Vajont libico». Anzi, facilmente pecca per difetto. Perché se il dramma italiano del 1963 causò circa 2.000 morti, quello a Derna due giorni fa potrebbe superare i 10.000. Queste sono, almeno per il momento, le stime delle autorità locali. Quasi 1.000 sono già stati seppelliti. Mancano all’appello oltre 10.000 persone. Tripoli manda aiuti. Ieri sono arrivati a Derna gli uomini della protezione civile italiana per valutare cosa inviare. Gli Usa promettono sostegno. Egitto, Turchia ed Emirati hanno già inviato aerei carichi di beni di prima necessità. Una tragedia causata dalla tempesta che i meteorologi hanno battezzato «Daniel» e la fine della settimana scorsa aveva già causato danni nell’Italia meridionale e in Grecia, ma che ha scatenato tutta la sua forza dirompente sulla Cirenaica e in particolare nella zona delle «Montagne verdi» sopra Derna. Soprattutto, anche la tragedia libica riguarda le dighe, non una come fu per l’Italia 60 anni fa, bensì due. «La causa principale dei danni all’abitato è stato il cedimento strutturale di due sbarramenti idrici costruiti nei primi anni Settanta sulle montagne a sud di Derna», ci confermano alcuni esperti e osservatori stranieri in Cirenaica. L’emergenza è poi tutt’altro che finita: le autorità di Bengasi hanno lanciato l’allarme per la diga wadi Qattars a sud della città e hanno cominciato a far evacuare popolazione limitrofa.
Grazie ai testimoni sul posto possiamo provare a ricostruire la dinamica dei fatti. Verso mezzanotte tra domenica e lunedì il ciclone tropicale investe le coste della Libia orientale. Sul Mediterraneo domina l’alta pressione e il divario tra caldo e umido intensifica la forza della bomba d’acqua, che è accompagnata da turbolenze e venti fortissimi. La pioggia scroscia sugli altopiani fertili della Cirenaica settentrionale, sferza e allaga con violenza inusitata le campagne e i villaggi agricoli, molti dei quali fondati al tempo della colonizzazione italiana. Cadono alcuni ponti, tra cui uno storico voluto da Italo Balbo negli anni Trenta e sovrastato da quello moderno disegnato dall’architetto Morandi (lo stesso del ponte di Genova), che invece resta in piedi. Quindi l’acqua s’infila a cascata nei letti dei torrenti in secca e raggiunge lo snodo maggiore di wadi Derna, che sbocca nel mare.
Qui si trovano due sbarramenti artificiali costruiti dall’ex Jugoslavia tra il 1970 e il 1973, figli dell’epoca in cui il giovane Muammar Gheddafi, fresco di golpe e desideroso di rompere con i governi occidentali, andava a braccetto con Tito e cercava alleati nel fronte dei Paesi non-allineati. Il primo, quello di Mansour, è alto 45 metri e largo 130, contiene circa un milione mezzo di metri cubi d’acqua e sta a 12 chilometri da Derna. Non regge l’impatto e si sfascia. L’onda avanza altri 11 chilometri verso il mare e incontra lo sbarramento più grande, a solo un chilometro dalle periferie meridionali di Derna. La seconda diga è alta 75 metri e larga 300, contiene 18 milioni di metri cubi d’acqua. E anch’essa non regge. A questo punto è uno tsunami: sono le due e mezza di notte quando si abbatte sulla città addormentata.
Sui social libici è postata la testimonianza di un esperto di opere idriche, Abdelwanees Ashoor, che un anno fa aveva messo in guardia sulla debolezza strutturale delle due dighe e la necessità urgente che venissero rinforzate. Va però aggiunto che questa è la situazione generale della Libia dodici anni dopo la defenestrazione violenta del regime di Gheddafi grazie alla rivoluzione «assistita» dalla Nato: l’intero Paese cade a pezzi, lo scontro aperto tra il governo di Tripoli e quello di Bengasi paralizza qualsiasi progetto di ricostruzione su vasta scala. Gli stessi circa 60.000 abitanti di Derna, sui 90.000 originari, vivono oggi tra le macerie dei recenti scontri armati. Si calcola che circa il 25 per cento del centro urbano sia stato spazzato via dalle acque.