23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Lorenzo Cremonesi

Sarà l’Ue in grado di sfruttare le nuove divergenze tra Russia e Turchia sugli scenari libico-siriani? Sino a poche settimane fa la domanda appariva superata


Sarà l’Europa in grado di sfruttare le nuove divergenze tra Russia e Turchia sugli scenari libico-siriani? Sino a poche settimane fa la domanda appariva superata. Sebbene divisi da storiche contrapposizioni, Putin ed Erdogan negli ultimi mesi avevano raggiunto un grado di coordinamento sorprendente. In Siria in autunno si erano accordati per il controllo delle zone curde e delle milizie ribelli sunnite a nord di Aleppo. Quindi, ai primi di gennaio era apparsa possibile una loro intesa per imporre il cessate il fuoco in Libia, scavalcando totalmente il ruolo europeo. Erdogan avrebbe dovuto tenere a bada le milizie pro Sarraj a Tripoli e Misurata, mentre Putin s’impegnava a frenare il maresciallo Haftar a Bengasi. In quel contesto, la conferenza di Berlino il 19 di gennaio era apparsa quasi inutile, penalizzata dall’immagine della diplomazia europea imbelle contro due potenze disposte ad un impiego spregiudicato della forza militare.
Ma la situazione si era complicata già pochi giorni prima del summit tedesco, quando Putin non era riuscito a imporre le briglie ad Haftar. Deciso a proseguire la violenta offensiva lanciata il 4 aprile scorso, questi si era sentito abbastanza garantito dal sostegno militare egiziano e degli Emirati. Erdogan ha quindi ripreso a mandare rinforzi alle milizie libiche, inclusi i controversi «volontari» siriani, che in realtà sono gli stessi guerriglieri da lui utilizzati per elidere i curdi e radicalizzati da nove anni di battaglie contro il regime di Damasco assieme agli alleati russi e sciiti filo-iraniani. Ad aggiungere fuoco al fuoco sono adesso i gravi scontri scoppiati nella regione di Idlib, dove i soldati siriani violano le intese tra Mosca e Ankara, spingendo Erdogan a rispondere a suon di cannonate. Da qui le nuove opportunità per l’Europa in Libia. L’impasse della forza rilancia la carta della diplomazia, che però deve parlare con una voce sola e soprattutto avere un puntello militare in grado di imporre l’embargo totale all’invio di soldati e armi.

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