19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Giovanni Bianconi

L’impegno politico al massimo livello istituzionale lascia intendere il peso che ancora ha la stagione del sangue in Italia


La promessa fatta venti giorni fa dal ministero della Giustizia francese Eric Dupond-Moretti alla Guardasigilli Marta Cartabia — «è questa l’ora, siamo pronti ad aiutarvi» — è stata rispettata. Almeno sul piano politico, perché sul destino degli ex terroristi arrestati ieri al di là delle Alpi si apre ora una partita giudiziaria dall’esito non scontato. Tuttavia la volontà del governo di Parigi è chiara, come spiegò Dupont-Moretti a Cartabia, arrivato finanche a scusarsi per l’accoglienza garantita dal suo Paese ai protagonisti della lotta armata, mentre in Italia i familiari delle vittime continuavano a chiedere giustizia. Una questione annosa e ingombrante nei rapporti bilaterali, che ora la Francia prova a dirimere una volta per tutte. Grazie all’impegno di un ministro di origine italiana e di un presidente, Emmanuel Macron, che era un bambino di 7 anni quando nel 1985 il suo predecessore François Mitterrand dichiarò che non avrebbe estradato gli ex militanti non macchiatisi di reati di sangue. Una «dottrina» non scritta, enunciata in occasione di una missione parigina dell’allora premier Bettino Craxi, socialista come lui, e varata per un precipuo interesse nazionale.
Mitterand, infatti, aveva già in casa circa trecento persone accusate di reati legati alla violenza politica e preferì che uscissero dalla clandestinità, smettendo così di costituire un pericolo per la sicurezza pubblica. L’esclusione dei responsabili di omicidi fu un’ulteriore ambiguità, perché in molti di quei casi vennero contestati i processi e i giudici francesi si rifiutarono di riconsegnare i condannati (compresi alcuni tra quelli arrestati ieri). Lasciando aperta una contesa — a volte aspra, più spesso sopita — che si trascina da quasi quarant’anni.
Macron ha voluto tagliare quel cordone ombelicale tra la Francia e gli «anni di piombo» italiani, e l’ha fatto in virtù di un nuovo impulso arrivato da Roma: la ministra Cartabia e il premier Draghi in persona, che hanno ribadito l’importanza per il loro governo di non rinunciare a eseguire quelle pene. Anche se riguardano episodi e vicende lontane nel tempo.
Sul piano giudiziario, il terrorismo di matrice interna è una pagina in gran parte chiusa della storia repubblicana; lo dimostra il fatto che la quasi totalità dei protagonisti ha scontato le condanne ed è tornata libera, compresi gli esecutori dei delitti più efferati. Qualcuno è rimasto detenuto per propria scelta o perché si considera ancora in guerra con lo Stato, ma c’è pure chi è riuscito a fuggire. Tra questi, per l’appunto, coloro che la Francia ha accolto senza curarsi granché delle rivendicazioni di un Paese vicino e amico. Dei trecento di cui parlò Mitterrand ne restano una decina col conto con la giustizia ancora aperto, principalmente a causa della prescrizione delle pene. Un’altra conseguenza del tempo che passa.
Ora le rinnovate richieste di estradizione da parte italiana e la decisione francese di dare loro un seguito, hanno riaperto quella pagina. Dietro questa scelta c’è la volontà dello Stato di far rispettare i verdetti emessi dai propri giudici e il diritto dei cittadini — a cominciare dalle parti in causa, cioè i parenti delle vittime colpite direttamente in quegli attentati — di vederli eseguiti. Anche nei confronti di persone che hanno lo stesso nome e cognome di quando avevano 25 anni o poco più, ma non sono più quelle di allora. È un problema che, se effettivamente saranno rimpatriati, riguarderà l’esecuzione della pena, e saranno altri giudici a occuparsene.
Tuttavia l’operazione «Ombre rosse», e l’impegno politico al massimo livello istituzionale che l’ha resa possibile, lasciano intendere quanto peso abbia ancora la storia del terrorismo italiano e degli eventi che l’hanno accompagnato. L’Italia di oggi è frutto anche di quella sanguinosa stagione, degli strappi che ha comportato, delle solidarietà che ha prodotto e di qualche mistero rimasto aperto. Insieme alle ferite che hanno lasciato segni non rimarginabili con gli interventi giudiziari, sebbene la notizia di ieri sia comunque un segnale di rispetto e di omaggio nei confronti delle vittime.
Per spiegare la sensibilità verso questo tema il ministro Dupont-Moretti ha raccontato alla collega Cartabia l’emozione provata durante un passaggio alla stazione di Bologna, davanti allo squarcio nel muro che ricorda la strage del 2 agosto 1980. Un episodio di terrorismo nero che nulla ha a che fare con gli arresti di ieri, ma rientra in quella lunga e buia pagina dove ancora manca la parola «fine». Se non altro perché un ennesimo processo, per quell’attentato, è appena cominciato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *