Fonte: Corriere della Sera
di Guido Santevecchi
Una prova dei limiti della capacità cinese di tenere sotto controllo l’instabile alleato nordcoreano
La prima domanda, come sempre di fronte alle operazioni nordcoreane, è se si sia davvero trattato di una bomba all’idrogeno. Intelligence e analisti militari se ne stanno occupando. Ma da un punto di vista politico e di sicurezza tutto sommato conta poco: gli americani hanno rilevato un movimento sismico di 5,1 gradi, un terremoto originato dall’esplosione pari a quello registrato nel 2013 quando i nordcoreani fecero esplodere un ordigno nucleare «tradizionale». Quindi, il regime di Kim Jong-un, dittatore ereditario e imprevedibile della Corea del Nord, ha un arsenale di armi di distruzioni di massa. Accoppiato con missili dalla gittata ancora incerta.
L’impotenza di Pechino
Il test all’idrogeno (o a quel che sia stato) è dunque una sfida minacciosa agli Stati Uniti, alla Corea del Sud, al Giappone, ma anche e soprattutto una prova dei limiti della capacità cinese di tenere sotto controllo l’instabile alleato. Kim Jong-un è al potere dal dicembre 2011; a Pechino Xi Jinping è in carica dal novembre 2012. I due non si sono mai incontrati. Xi è il leader cinese che ha viaggiato di più nel mondo, ma non ha messo piede a Pyongyang. E Kim si è tenuto lontano da Pechino, anche quando a settembre dell’anno scorso era stato invitato alla grande parata sulla Tienanmen. La Cina ha a più riprese segnalato fastidio per la condotta minacciosa e destabilizzante dell’alleato: anzitutto i test di armi letali sono condotti a ridosso del confine cinese. E poi, la minaccia di Kim rende sempre più necessaria la presenza militare degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico che invece i cinesi ambiscono a controllare. Nuove sanzioni votate dall’Onu, con il sì della Cina, sembrano inevitabili.
Kim più temibile degli ayatollah
In questi anni la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, si è dedicata soprattutto a mettere sotto controllo il programma nucleare iraniano. È stato un confronto duro, nonostante Teheran assicurasse di volersi solo dotare di una risorsa atomica a fini economici. Nel caso nordcoreano ci sono due differenze sostanziali: anzitutto Kim Jong-un non perde occasione per proclamare che l’obiettivo è di dare alle sue forze armate armi di distruzione di massa per incenerire le città americane (l’ufficio propaganda del regime ha prodotto film che mostrano New York sotto una pioggia di missili e fuoco). E poi, mentre si può escludere che Teheran abbia (o avesse prima dell’accordo) intenzione di suicidarsi usando un’atomica ed esponendosi a una rappresaglia che cancellerebbe le sue città dalla carta geografica, Kim Jong-un sembra ispirato da una follia autodistruttiva. In Iran i cittadini possono votare (abbastanza liberamente) per la loro leadership; in Nord Corea vengono distribuite schede precompilate che assicurano a Kim il 99,9 per cento dei consensi. Il dittatore sa che se perdesse il potere perderebbe anche la vita e quindi potrebbe davvero usare un’atomica o una bomba all’idrogeno. Queste armi sono la sua polizza sulla vita. La politica economica della famiglia (il nonno Kim Il-sung, il padre Kim Jong-il) ha già scientificamente condannato il Paese ad essere la peggiore economia del mondo: 179ma tra le nazioni «funzionanti».
Troppo tardi per negoziare
Ormai sembra troppo tardi per negoziare con i nordcoreani, anche promettendo aiuti economici massicci in cambio del disarmo. Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone e dovranno trovare altre vie per evitare un disastro. E dovranno trovare un’intesa solida con la Cina, il grande protettore (oggi forse un po’ riluttante, di Pyongyang).