Fonte: Corriere della Sera
di Michele Salvati
Se le prossime elezioni confermassero i sondaggi Salvini potrebbe passare a un populismo autoritario di destra e tra tre anni avrebbe in mano anche il Quirinale
L’Italia possiede ancora le risorse e le capacità progettuali necessarie a definire e mettere in atto una strategia che la allontani dal declino economico in cui ristagna e, tra i nostri migliori economisti, è ampio il consenso sulle iniziative che andrebbero intraprese: da ultimo si veda l’efficace sintesi storica di Pierluigi Ciocca, Tornare alla crescita: perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla (Donzelli) e in particolare l’ultimo capitolo, La via d’uscita. Una via d’uscita possibile ma dura e lenta, che richiederebbe classi dirigenti di grandi qualità – nell’impresa, nel sindacato, nelle istituzioni, nei partiti – capaci di tener fermo un disegno lungimirante di crescita economica e civile. E il giudizio che emerge dalla breve ma densa carrellata storica del libro è lo stesso che diede Raffaele Mattioli: che solo di rado l’Italia seppe dotarsi di «una classe dirigente adeguata».
Ciocca non entra nelle ragioni di questa inadeguatezza, in particolare della classe politica, cui spetta la responsabilità del governo complessivo del Paese: dunque, in democrazia, anche il compito di ottenere un sostegno elettorale sufficiente ad attuare il disegno lungimirante che dovrebbe perseguire. Leggendo il libro – denso di fatti, di numeri, di confronti – è però difficile evitare l’impressione che l’adeguatezza delle classi politiche che si sono succedute nell’Italia repubblicana sia andata continuamente deperendo già a partire dagli anni 70 del secolo scorso, salvo brevi intervalli, mentre i compiti che dovrebbero affrontare si sono fatti sempre più gravosi, soprattutto a causa delle inadempienze passate. Il «breve periodo» – l’esigenza di conquistare voti – è entrato sempre più in conflitto con il «lungo periodo», l’esigenza di governare bene. Di seguito non posso entrare nelle ragioni che spiegano come mai questo conflitto, endemico in tutte le democrazie, sia particolarmente acuto nel nostro Paese e mi limito a descrivere a mo’ d’esempio come esso si presenta oggi.
Assumendo come dati l’attuale sistema elettorale e gli orientamenti popolari prevalenti, tenendo conto delle strategie dei principali partiti e del mutamento dei rapporti di forza a favore della Lega segnalato dalle elezioni regionali e dai sondaggi, due sono gli equilibri politici che potrebbero, in astratto, sostenere una politica economica relativamente coerente, se pur non in grado di «rifondare l’economia italiana» come Ciocca vorrebbe: un equilibrio di Centro e uno di Destra-Centro. Il primo potrebbe mettere insieme tutti i partiti dichiaratamente anti-populisti, anzitutto Pd e Forza Italia, più eventuali altre forze centriste che emergessero nel frattempo, ammesso che non arrivi prima un disastroso attacco dei mercati contro il nostro debito sovrano. Questo raggruppamento avrebbe il vantaggio di un credibile orientamento filoeuropeo ma incontrerebbe l’ostacolo dell’avversione antiberlusconiana a sinistra e di una simmetrica avversione contro il Pd a destra: le truppe rimaste nel Pd e in Forza Italia probabilmente non tollererebbero una collaborazione. E un leader che sappia dare un’anima e un sogno al vasto insieme di elettori che soffrono dell’estremismo populista e si rendono conto dei danni che produce non mi pare sia in vista. Insomma, i numeri probabilmente non ci sarebbero e questo potrebbe giocare a favore di un equilibrio di Destra-Centro.
Per quanto i 5 Stelle siano disposti a (quasi) tutto pur di evitare nuove elezioni, mi sembra difficile che Salvini voglia affrontare la legge di Bilancio 2020 nell’ambito del «contratto» stipulato con loro: il discredito di una legge lacrime e sangue – necessaria a mantenere il rispetto dei patti europei e a evitare un attacco dei mercati – ricadrebbe anche sulla Lega e ne indebolirebbe il consenso che al momento riscuote. Dunque, elezioni anticipate. È vero che provocare nuove elezioni è un passaggio difficile e rischioso e che Salvini, se potesse evitarlo, lo farebbe volentieri: le cose gli vanno benissimo così. Per quanto? Se le prossime elezioni regionali ed europee confermassero i sondaggi a suo favore, difficilmente sprecherebbe il momento magico in cui si trova e una crisi dell’attuale governo sarebbe possibile.
Chiediamoci però: qualora una coalizione di Destra-Centro dovesse prevalere in elezioni anticipate, come potrebbe Salvini rinnegare la retorica populista e sovranista alla quale è dovuta la sua popolarità e presentarsi con un governo tollerato in Europa e accettato dai mercati? Ma dovrebbe proprio rinnegare il messaggio che gli ha sinora consentito il successo elettorale? La retorica antieuropea e sovranista, in Salvini, è stata soprattutto una conseguenza del suo atteggiamento verso l’immigrazione, un atteggiamento piuttosto condiviso in Europa: Salvini potrebbe alimentare questa sua fonte di popolarità senza incorrere in insuperabili sanzioni. Diverso il caso delle politiche economiche, sulle quali l’Europa e soprattutto i mercati sono più attenti: ma le conseguenze dannose di quota 100, un altro dei suoi mantra, potrebbero essere attenuate da provvedimenti successivi. E l’alleanza (facile con Fratelli d’Italia, possibile con Berlusconi o gli ex berlusconiani), oltre al consenso prioritario dei «ceti produttivi» del Nord, potrebbero spingerlo in questa direzione.
Se tale esito si realizzasse, si passerebbe da un populismo bicipite e confuso a un più coerente populismo autoritario di destra:l’Italia si avvicinerebbe ai regimi di Kaczynski e Orbán, tollerati in questa Europa dalla bocca buona e accettati dai mercati finché ne rispettano le regole fiscali e finanziarie, cosa che non sarà facile per noi, ma non impossibile. E in tal caso, con una maggioranza in Parlamento e nelle Regioni, Salvini avrebbe in mano, fra tre anni, la Presidenza della Repubblica, il principale baluardo oggi esistente contro il populismo. Chi scrive, dovrebbe essere chiaro, ritiene questo scenario disastroso per il nostro Paese. E che solo evocarne la possibilità dovrebbe mettere in allarme tutte le forze, istituzionali e politiche, che contrastano un deragliamento così radicale dal corso democratico ed europeista che l’Italia ha perseguito dalla fondazione della Repubblica.