Ci sono gli ostaggi israeliani e occidentali. E ci sono i civili di Gaza. Evitiamo che pure loro diventino ostaggi di Hamas
La pietà per i civili di Gaza non diminuisce di un’oncia l’indignazione per il massacro di ebrei innocenti. Non sono due sentimenti in contrasto. Sono complementari, e si tengono insieme. È impressionante la rapidità con cui sembra che nella discussione pubblica ci si sia scordati dei 1.200 civili israeliani assassinati. Uccisi in quanto ebrei o amici degli ebrei. «Prendi quell’ebreo!» si sente urlare nei video. E qui per noi si apre un bivio: o la si pensa come Hitler e Mussolini; o la si pensa come san Giovanni XXIII, che elimina dalla liturgia cattolica ogni residuo di antigiudaismo, e come san Giovanni Paolo II, che visita la sinagoga di Roma e definisce gli ebrei «i nostri fratelli maggiori».
L’attacco di Hamas segna un punto di non ritorno nel conflitto israelo-palestinese. Come ha ricordato ieri sul Corriere Lorenzo Cremonesi, nel 1987 i palestinesi tiravano pietre e i soldati dell’Idf tentavano di fronteggiarli con lacrimogeni e proiettili di gomma. Poi si passò ai kamikaze e ai proiettili veri. Ora siamo agli sgozzamenti e ai bombardamenti. Occorre dirlo con chiarezza: Hamas non può essere un interlocutore. Lo si può solo sconfiggere militarmente, eliminarlo dalla scena o comunque infliggergli il colpo più duro possibile.
Tuttavia ci sono ostaggi di cui non è possibile disinteressarsi, considerarli come se fossero perduti, vittime pure loro del 7 ottobre. Ci sono gli ostaggi israeliani e occidentali. E ci sono i civili di Gaza. Occorre fare di tutto per evitare che pure loro diventino ostaggi di Hamas. Il quadro militare è già abbastanza drammatico. Hamas controlla il sottosuolo della Striscia. Piazza i suoi comandi e i suoi uomini anche all’interno di edifici civili, che vengono colpiti. Si fa scudo dei corpi dei due milioni e trecentomila abitanti di Gaza. È necessario togliere loro questa arma. E salvare più vite possibili.
Per questo il valico di Rafah con l’Egitto deve essere aperto. E devono essere aperti altri corridoi umanitari, anche via mare. L’Egitto non può chiamarsi fuori e rifiutare di accogliere i profughi; ma non può neppure affrontare la crisi umanitaria da solo. Serve una mobilitazione internazionale per consentire a chi intende lasciare Gaza di farlo. E l’Europa deve essere in prima fila. È sempre molto difficile misurare il grado di consenso a una dittatura. A maggior ragione quando la dittatura è imposta con il terrore. A Gaza Hamas ha avuto certo anche una base di consenso, alimentata sia dal welfare — sanità e sussidi, pagati da potenze islamiche e indirettamente pure dall’Occidente — sia dall’odio per Israele e gli Stati Uniti. Del resto, quando dopo le primavere arabe si poté votare liberamente, quasi ovunque hanno prevalso gli integralisti islamici: anche a Gaza. Dopo, però, Hamas ha preso tutto il potere con la forza e l’ha mantenuto con la violenza. Quali alternative hanno ora gli abitanti di Gaza, oltre alla fuga?
Oggi sarà un giorno molto importante. È venerdì, ci saranno manifestazioni in molti Paesi musulmani. In Cisgiordania Hamas soffia sul fuoco, la leadership di Abu Mazen è debole, la politica degli insediamenti condotta da Netanyahu non ha certo aiutato a stemperare la tensione. Il quadro internazionale è già abbastanza complesso. Basta confrontare sull’atlante i Paesi che hanno condannato Hamas e quelli che rifiutano di farlo, quando non lo sostengono apertamente. Hamas è appoggiato dall’Iran, che è appoggiato dalla Russia e ha ottimi rapporti con la Cina: serve aggiungere altro?
Questo non significa rinunciare al diritto di critica. La critica è la forza delle democrazie. Anche quando sono divise, anzi polarizzate come oggi gli Stati Uniti, le democrazie sono più forti non perché hanno armi più potenti, ma perché hanno cittadini più consapevoli.
Un massacro indiscriminato a Gaza non sarebbe soltanto un lutto per l’umanità, un’arma nelle mani dei nemici dell’Occidente, un’ulteriore spinta al vortice dell’odio. Sarebbe una sconfitta anche per noi. Eliminare Hamas senza spargere altro sangue di innocenti è molto difficile, forse impossibile. Ma deve essere la bussola che guiderà le prossime, delicatissime e decisive giornate.