22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Francesco Olivo

Attesa per il discorso del presidente catalano. Timori di scontri con gli unionisti a Barcellona. Società in fuga, anche Abertis sposta la sede a Madrid

Non passa un minuto senza che arrivi un appello: «Presidente si fermi». La Spagna e l’Europa guardano con ansia al parlamento catalano. Qui, oggi pomeriggio, il capo della Generalitat, Carles Puigdemont, dovrà dire cosa vuol fare di quei due milioni di voti del referendum: usarli per dichiarare l’indipendenza della Catalogna o metterli sul tavolo per una trattativa con la Spagna. In tanti gli chiedono di frenare, ultimi il segretario socialista Pedro Sanchez («in caso di secessione staremo con il governo») e la sindaca di Barcellona, Ada Colau («non dinamitare i ponti»).
Le conseguenze di quella che, forse per paura di pronunciarne il nome, qui chiamano tutti «Dui» (dichiarazione unilaterale di indipendenza) sono incalcolabili: il premier spagnolo Rajoy non dice esattamente cosa farà, ma stavolta l’immobilismo che lo ha reso celebre e vincente, non sarà la cifra. Due sono gli articoli della Costituzione in ballo: il 155, sospensione parziale dell’autonomia regionale, oppure il più impegnativo 116, uno «stato d’emergenza» che potrebbe prevedere anche l’utilizzo dei militari. Nel Partito popolare i toni sono durissimi, il dirigente Pablo Casado è arrivato a evocare le tragedie del passato: «Puigdemont non faccia come Companys», ovvero il presidente della Generalitat che proclamò l’indipendenza nel 1934, fu arrestato dalla Repubblica spagnola e poi fucilato sul Montjuic da Franco nel ’40.
Ma Puigdemont riceve minacce e pressioni anche nel suo campo. La voce, sempre più forte, di una dichiarazione in parlamento senza conseguenze pratiche, agita l’ala dura dell’indipendentismo. Si parla di una «Dui» che sposti a sei mesi l’entrata in vigore della legge di transitorietà, viene posto come esempio il modello sloveno (Lubiana votò nel 1990 e poi attese di essere riconosciuta dai Paesi europei). Ma la via dell’indipendenza progressiva, con la previsione di avviare un processo costituente, non accontenta né i secessionisti, né il governo spagnolo («Non ci possono dire che infrangeranno la legge fra sei mesi»). La Cup, movimento dell’ultra sinistra, teme che l’oste metta acqua al vino: «L’indipendenza è o non è». «Ci sarà la Dui», conferma Esquerra Repubblicana, il partito del vicepresidente catalano, Oriol Junqueres. Ma l’assedio non è soltanto a parole, oggi il parlamento verrà circondato da una manifestazione convocata dagli indipendentisti e un’altra degli unionisti, circostanza che crea inquietudine, anche fisica, nei parlamentari dell’opposizione (i socialisti stanno cercando un bus scortato).
L’incertezza regnerà fino all’intervento del presidente in Parlamento previsto per le 18. In teoria, si tratta solo di un dibattito, senza voto. Ma l’opposizione teme il colpo di mano, anche per la complicità con il governo della presidente dell’assemblea Carme Forcadell.
L’ansia che si vive in città aumenta. Ad aggravarla è la lista sempre più lunga delle aziende che spostano la propria sede fuori dalla Catalogna, al riparo da pericolose avventure: ieri è stato il turno di Abertis, il gruppo che controlla le autostrade, oggetto di attenzioni da parte dell’italiana Atlantia (oggi il via libera della Consob spagnola). In attesa della fine della trattativa, Abertis fugge a Madrid. Cattive notizie anche dall’estero: «Non riconosceremo una Catalogna indipendente», ha dichiarato il ministro francese degli Affari europei Nathalie Loiseau. Sul palazzo della Generalitat continua a volare, molto basso, un elicottero della polizia, «domani finalmente atterra» dice qualcuno.

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