Un neologismo che possa rappresentarci nel 2025: intellettuario. Da intellettuale «persona fornita di una buona cultura o cultore di studi» e precario «colui che non ha una continuità nel rapporto di lavoro»
Qualche anno fa nessuno avrebbe usato verbi come spoilerare, googlare, linkare o taggare. Oggi fanno parte del linguaggio comune, perché rappresentano azioni che compiamo ogni giorno. Abbiamo pensato ad un neologismo che possa rappresentarci nel 2025: intellettuario. Siamo partiti da intellettuale «persona fornita di una buona cultura o cultore di studi» e lo abbiamo unito a precario «colui che non ha una continuità nel rapporto di lavoro» e quindi manca «di un reddito e di condizioni di lavoro adeguate su cui poter contare per la pianificazione della propria vita presente e futura». Centro di connessione tra intellettuale e precario è il lavoro. Anzi per la precisione il lavoro che non c’è o è talmente transitorio e insicuro, da rendere difficile l’esercizio della professione o del mestiere per cui si è tanto studiato. Contraddizione che esplode quando si considera la durata e l’intensità del periodo di studio, messe a confronto con la povertà e la provvisorietà delle occasioni lavorative.
Viviamo in un Paese dove chi studia di più non è considerato di più. Anzi, spesso è vittima di un disprezzo neanche tanto nascosto. Nel saggio «Non sparate sulla scuola» (Solferino), Gianna Fregonara e Orsola Riva disegnano uno scenario allarmante. «Nei prossimi dieci anni la scuola avrà un milione e mezzo di studenti in meno. Tra meno di vent’anni anche all’università ci saranno 78.000 matricole e 390.000 iscritti in meno. Uno tsunami: perché la carenza di laureati rischia di compromettere le potenzialità di sviluppo dell’intero sistema Paese». Per concludere. Qualche anno fa Antonia Falcone pubblicò la propria esperienza per il sito professioearcheologo.it, scrivendo una semplice premessa: «Il lavoro va pagato. Sempre. Anche quando è mascherato da “gavetta” necessaria o quando da più parti ci si sente dire che il nostro è più che altro un “hobby”». Non c’è molto da aggiungere. Vale per tutti gli intellettuari.