Gli ultimi Nobel per la chimica e la fisica hanno al centro l’AI. Con riflessioni incrociate su opportunità e rischi
Due Nobel, per la Fisica e per la Chimica. Ricevuti grazie a una tecnologia, l’intelligenza artificiale. Una tecnologia applicata alla scienza, o alla ricerca, che utilizza al meglio gli strumenti di una tecnologia. I superesperti ci perdonino se banalizziamo. Ma questa volta è successa una cosa forse mai accaduta: abbiamo compreso che quei premi voluti dall’Accademia di Svezia ci riguardano tutti. Da vicino.
È stata una sorta di richiamo: dobbiamo occuparci più intensamente di Intelligenza Artificiale.
Dobbiamo farlo non per dividerci tra apocalittici e integrati, come sempre. E cioè tra chi è pronto a vedere solo le magnifiche sorti progressive dell’AI (l’acronimo inglese per Artificial Intelligence) e chi invece ne vede soprattutto i rischi. Gli stessi Nobel sembrerebbero spingere a questo. Il premio per la Fisica è andato a John Hopfield e Geoffrey Hinton che si divideranno i 967mila euro. Entrambi pionieri dello studio delle reti neurali (erroneamente indicate come similari alle reti presenti nel nostro cervello), si sono applicati a come possono imparare le macchine. L’intuizione di Hinton fu: invece di perdere tempo a ricreare con un computer i meccanismi di funzionamento della mente, facciamo in modo che i computer – diventando ogni secondo più veloci e capaci di elaborare enormi quantità di dati – scelgano la loro strada. Che imparino, cioè, da sole. Peccato (ed è stato lo stesso Hinton a manifestare inquitudine uscendo clamorosamente dalla società per la quale lavorava, Google, per poter parlare più liberamente) che noi non sappiamo cosa accade in quella scatola nera che è il computer. Noi possiamo dargli degli input, dei limiti, che il computer userà associando a quegli input tutti dati che ha elaborato nel corso del tempo per fornirci un risultato. Ma il suo apprendimento è imprevedibile. Come ha detto lo stesso Hinton commentando il Nobel, la rivoluzione industriale ha permesso alle macchine di superarci in forza fisica, ma ora sono destinate a superarci pure dal punto di vista intellettuale. Se dovessero sfuggire al nostro controllo, potrebbero derivarne conseguenze negative.
Sempre grazie all’intelligenza artificiale, il Nobel per la Chimica è andato a David Baker, Demis Hassabis e John Jumperper i loro studi sulle proteine. Che significa: studiare i meccanismi della vita come quelli che ne alterano il percorso (le malattie, in una sintesi estrema). Durante la pandemia, grazie alle sue ricerche, Baker riuscì a disegnare una proteina capace di difendere le cellule dal coronavirus. Pensando addirittura di farne uno spray nasale.
E allora? Dobbiamo occuparci sì dell’intelligenza artificiale, facendo in modo che sempre più società italiane siano attive in questo campo (e ce ne sono!). Ma dobbiamo occuparcene anche in termini di governance. Sono essenziali le regole. Per prendere il meglio di questa rivoluzione. Hinton, Hassabis e Jumper lavorano o lavoravano per società legate a Google. Non vi sfuggirà che negli Stati Uniti, patria del liberismo, proprio la società di Mountain View sia entrata nel mirino del dipartimento di Giustizia per questioni Antitrust. In America sanno che le regole non frenano, piuttosto creano un campo competitivo dove tutti vengono messi in condizione di crescere ed evolvere senza scorrettezze: questa è la partita. Anche in Europa e in Italia.