19 Settembre 2024

La maggioranza non è riuscita ad approvare il Documento di economia e finanza. L’imbarazzo per l’immagine di scarsa coesione davanti alla Ue

La cattiva notizia ha raggiunto Giorgia Meloni a Downing Street, mentre era impegnata nel suo primo, importante incontro con il premier britannico. Appena uscita dal bilaterale con Rishi Sunak e tornata in possesso del suo smartphone, la presidente del Consiglio è rimasta basita quando ha sentito la voce di un «furibondo» Alfredo Mantovano. Il sottosegretario a Palazzo Chigi prima le racconta il fattaccio, poi prova a placarla: «Tranquilla, stiamo risolvendo…».
Chi era con lei nella missione londinese la descrive «fuori dalla grazia del cielo» e non per i cartelli («no al fascismo») con cui alcuni manifestanti l’hanno accolta davanti al palazzo del governo britannico. No, l’ira della premier si deve tutta alla figuraccia che le ha imposto la sua maggioranza, che non è riuscita ad approvare il Def e ha messo a rischio il Consiglio dei ministri del Primo maggio, a cui Meloni tiene moltissimo. «Io non ho parole» ha scritto la leader, furiosa, sulla chat con gli eletti di FdI, dopo che la missione a Londra è stata quasi oscurata dal pasticciaccio di Montecitorio.
Finito il vertice con Sunak, la premier si attacca al cellulare per affrontare un incidente parlamentare che non ha precedenti. Parla più volte con Mantovano, cerca di capire se il «suo» ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, avesse informato esponenti del governo e deputati dell’importanza del voto e cerca i leader dei partiti, per verificare se gli alleati abbiano voluto farle un trappolone. Preoccupazione legittima, dopo lo sfogo del ministro Giorgetti contro i deputati che «non si rendono conto» e visti i sospetti e le accuse tra le forze di maggioranza.
In Parlamento c’è chi accredita una telefonata tra Meloni e il presidente Mattarella, ma il Quirinale smentisce. Però i contatti tra Palazzo Chigi e il Colle ci sono stati, eccome. La tentazione del governo di far rivotare lo stesso testo del Def che era andato sotto in Aula ha allarmato i tecnici quirinalizi, i quali, interpellati per un parere, hanno suggerito ai collaboratori più stretti di Meloni di seguire la prassi: «Mai è successo di votare lo stesso testo dopo la bocciatura». E così, se pure aveva accarezzato l’idea di tirare dritta, la premier ha dovuto arrendersi all’antico brocardo latino ne bis in idem, che non consente di rimettere ai voti lo stesso provvedimento. Il presidente Mattarella si è tenuto fuori, perché le Camere sono sovrane. E se Montecitorio avesse dato il via libera al nuovo voto sullo stesso testo, ne avrebbe preso atto. Ma le opposizioni hanno gridato al «golpe», il governo ha scelto di non sfidare il Colle e un meloniano di peso quasi se ne duole: «Sembrava che il Quirinale avrebbe detto di sì, poi invece è arrivato il no… Ci hanno voluto umiliare, segno che non c’è alcuna collaborazione».
Il Cdm di emergenza viene convocato con 34 minuti di anticipo. Anche la toppa viene cucita in fretta, con i ministri «allibiti» che accettano di modificare la relazione che accompagna il Def. Lo «scivolone» non dovrebbe avere conseguenze: sarà approvato oggi stesso e il Cdm convocato per la Festa del lavoro si terrà come la premier aveva promesso. Ma il governo per qualche ora ha ballato, sui fondamentali di bilancio e proprio nei giorni in cui Palazzo Chigi e il Tesoro sono alle prese con la faticosa trattativa sul nuovo Patto di Stabilità europeo. L’imbarazzo della premier riguarda dunque anche i rapporti con i vertici dell’Unione, cui Meloni sperava di offrire un’immagine di maggiore unità, affidabilità e senso di responsabilità.
Se è vero che un «problema politico» non c’è, le tensioni hanno gelato i rapporti tra i partiti di maggioranza. I deputati di FdI hanno subito puntato il dito contro i colleghi di Forza Italia e Lega, spaccando i gruppi tra giustificati e vacanzieri. «Mancavano sia il capogruppo di FI Barelli che il suo vice Nevi», accusano i meloniani. E lasciano correre voci sui leghisti che hanno fatto infuriare Giorgetti, il loro ministro dell’Economia.

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