22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Gianluca di Feo

I missili nella notte sulle basi di Ain Al Asad, simbolo della presenza americana in Iraq, e di Erbil, dove si trovano anche oltre 600 soldati italiani

L’Iran ha lanciato la rappresaglia e il rischio di una guerra aperta sta diventando ogni ora più concreto. Nella notte ondate di missili si sono abbattute sulle basi di Ain Al Asad, un delle più grandi installazioni americane in Iraq, e di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno dove si trovano più di 600 soldati italiani. I danni sarebbero ingenti, ma non ci sono informazioni certe. Poco dopo, la tv di Teheran ha annunciato l’inizio dell’operazione “Soleimani martire” in risposta all’uccisione del generale. I Guardiani della Rivoluzione, i pasdaran della teocrazia iraniana, il corpo da cui dipendono le brigate Quds comandate proprio da Soleimani, hanno dichiarato che “la vendetta sarà feroce”. Anche le Forze di mobilitazione popolare, la milizia irachena filo-iraniana presa di mira dal raid Usa, hanno proclamato l’offensiva generale contro gli americani.
Il presidente Donald Trump è stato immediatamente informato e al Pentagono si vivono momenti drammatici. Il Consiglio di sicurezza nazionale è stato riunito in meno di un’ora, alla presenza del segretario di Stato Mike Pompeo e di quello alla Difesa Mark Esper: si discute di un’eventuale risposta contro il governo di Teheran.
Nei giorni scorsi la Casa Bianca aveva promesso “ritorsioni sproporzionate” in caso di attacco iraniano, sostenendo che era pronta a colpire 52 obiettivi nella Repubblica islamica. Adesso siamo a un passo dall’escalation totale, che potrebbe portare nel baratro l’intero Medio Oriente e avere ripercussioni sul mondo intero. In Israele è scattata la massima allerta e sono segnalati lanci di flares, un sistema per ingannare i missili, sulle alture del Golan, le più esposte al rischio di incursioni. Notizie non confermate parlano di decolli di aerei iraniani verso il Golfo Persico. E il prezzo del petrolio sui mercati internazionali ha cominciato subito a salire.
Quella iraniana è stata un’offensiva massiccia. Almeno tredici missili balistici sono partiti dal territorio di Teheran verso le basi statunitensi. Sono armi potenti, con una testata devastante. Si tratterebbe di Fateh 110, lunghi quasi nove metri con una portata di oltre duecento chilometri e mezza tonnellata di esplosivo: i Guardiani della Rivoluzione li lanciano da piccoli camion, simili a quelli commerciali: sono difficili da scoprire e intercettarli è praticamente impossibile.
Un video ripreso con un telefonino li mostra mentre picchiano a velocità supersonica sulla base di Ain Al Asad. Dopo i primi boati elicotteri si sono alzati in volo, per proteggere l’installazione da eventuali offensive via terra. E tutte le basi, americane e internazionali, in Iraq si stanno preparando al peggio: le squadre di protezione hanno preso posizione mentre il resto del personale è corso nei bunker. Lo hanno fatto anche i soldati italiani dell’operazione Prima Parthica, concentrati adesso soprattutto nel Kurdistan: il maggior numero è a Erbil, la città bersagliata da uno degli attacchi missilistici.
Nello scorso mese l’aeroporto di Ain Al Asad era stato preso di mira da bordate di piccoli razzi e colpi di mortaio, che non avevano provocato danni al personale. La matrice di queste incursioni però era rimasta incerta, anche se i sospetti si erano concentrati sulle milizie sciite filo-iraniane. Quelle prese poi di mira dagli Stati Uniti con il raid di Bagdad che ha provocato la morte di Soleimani.
Ain Al Asad è il simbolo della presenza americana in Iraq. L’aeroporto costruito da Saddam Hussein venne occupato dall’aviazione statunitense nel 2003 con uno schieramento imponente di squadriglie: da lì decollavano i caccia che bombardavano la guerriglia. Poi è passato in gestione all’aeronautica di Bagdad, ma nel 2015 con l’avanzata dell’Isis – che si è spinto fino a meno di trenta chilometri da lì – è tornato a essere l’avamposto del Pentagono nella lotta al Califfato, coprendo dal cielo la riconquista di Mosul. Lo scorso anno è stata visitata da Trump nel suo unico viaggio iracheno, mentre un mese fa il vicepresidente Pence vi ha incontrato le truppe Usa.
Adesso il nome della base rischia di essere legato all’escalation che può portare il mondo nel vortice della guerra. I Guardiani della Rivoluzione nella notte hanno minacciato Israele. E hanno lanciato un avvertimento agli alleati di Washington: se metteranno a disposizione le loro basi per un’operazione americana contro l’Iran, verranno puniti.

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