L’arricchimento dell’uranio da parte di Teheran è preoccupante, ma il pericolo sta ricevendo scarsa attenzione
Di fronte al Medio Oriente segnato da conflitti, su una domanda ci si interroga meno del necessario: e se l’Iran riesce a dotarsi di bomba atomica che cosa succede? Né le manifestazioni in nome della pace, abituate a tacere che la guerra di Gaza si deve a Hamas, né il dibattito pubblico sui futuri assetti della regione usano prendere in considerazione questa possibilità. Eppure è un’evenienza di enorme rilievo. Qualora la Repubblica islamica dell’Iran diventasse potenza nucleare ne risentirebbero assetti e rapporti di forza nel mondo intero, Mediterraneo incluso.
Il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Rafael Grossi ha dichiarato la settimana scorsa che Teheran sta accelerando le operazioni per arricchire uranio fino al 60% di purezza. Le distanze dal 90%, il livello richiesto per un’arma atomica, sono esposte al rischio di accorciarsi. «Molto preoccupante» lo ha definito Grossi. Più la quota dell’arricchimento avanza, più il processo diventa semplice e cala il numero delle centrifughe indispensabili per realizzarlo.
Quanto accade da anni in Medio Oriente e sta avvenendo adesso a Damasco conferma la validità di una legge: in politica non esiste il vuoto. Fu l’esaurirsi dell’influenza dell’Unione Sovietica ad allargare gli spazi per il ricorso ad azioni militari degli Stati Uniti contro l’Iraq. È stato il crollo del regime iracheno di Saddam Hussein ottenuto dalle forze anglo-americane a permettere a Teheran di espandere la propria influenza sul Medio Oriente. Quel vuoto ha consentito all’Iran di acquisire peso decisivo prima su uno Stato con il quale aveva combattuto dal 1980 al 1988, poi verso il Mediterraneo. Sulla Siria, dilaniata da una guerra civile, e, con il dilatarsi di Hezbollah, sul Libano.
La manovalanza in armi del Partito di Dio libanese forniva al regime precario di Bashar el Assad uno dei puntelli. È stato il vuoto determinato dai colpi di Israele su Hezbollah a permettere nei giorni scorsi a un fronte di milizie islamiche di assumere il controllo su molta della Siria. Il tempo chiarirà meglio in quali proporzioni hanno contato manovre di Turchia e Stati arabi. A differenza di pochi mesi fa, comunque, al momento l’egemonia iraniana appare indebolita. E da mesi una turbolenta effervescenza del Medio Oriente viene accentuata da un altro tipo di vuoto: le incognite sugli effetti del cambio della guardia alla presidenza degli Stati Uniti tra il collaudato Joe Biden e il meno prevedibile Donald Trump al secondo mandato.
Ristrette le vie per una crescita orizzontale della propria influenza, di una sua espansione sul terreno, gli ayatollah di Teheran potrebbero essere indotti a perseguirla con terrorismo all’estero e in senso verticale: innalzando la deterrenza delle proprie forze armate con una capacità bellica costruita in casa. Il possesso della bomba atomica accrescerebbe il rilievo politico-militare dell’Iran.
Sarebbe un cambio di marcia della storia. La distruzione di Israele risulterebbe obiettivo di una potenza non soltanto regionale, bensì nucleare. In una parte di mondo abituata a scosse, lo Stato ebraico non sarebbe l’unico ad avere bombe atomiche. Troverebbero incentivi le tentazioni dell’Arabia Saudita di procurarsene.
Evitare corse al riarmo è obiettivo nobile, a meno che questo non sconfini nell’autolesionismo e avvantaggi nemici attuali o futuri. Dunque occorrerebbe occuparsi anche di riarmi altrui. Per l’aumento nell’arricchimento dell’uranio il Consiglio dei governatori dell’Aiea ha approvato in novembre una censura dell’Iran. Voti a favore della presa di posizione, 19. Contro tre. Astensioni, dodici (un dettaglio inquietante). Ministero degli Esteri e Organizzazione iraniana per l’energia hanno comunicato che per reazione è stato disposto «il lancio di una significativa serie di centrifughe nuove e avanzate». Stando a Teheran l’uranio servirebbe a scopi civili. Allo stesso tempo il viceministro degli Esteri Mayid Tajt Ravanchi ha minacciato che se venissero ripristinate tutte le sanzioni precedenti al 2015 il suo Paese potrebbe dissociarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare.
Che gli ayatollah tirino la corda per un eventuale negoziato quando Trump sarà insediato non può essere escluso. Tuttavia gli Stati che puntano a corrodere equilibri internazionali a scapito dell’Occidente si danno da fare. Mentre la Corea del Nord fornisce alla Russia armi e truppe per la guerra all’Ucraina, ha fatto notare il segretario generale della Nato Mark Rutte, Mosca ricambia Pyongyang con tecnologia missilistica e atomica. Va impedito che la corda iraniana si riveli cappio per la sicurezza di altri. Compresa la nostra.