19 Settembre 2024

Le partite del Piano di ripresa e del Patto

Non c’è stato uno scontro tra Giorgia Meloni e Paolo Gentiloni, ma un «confronto a bassa intensità». E nell’entourage della leader della destra si aspettano che si andrà avanti così, un avviso oggi e un colpetto domani, senza che l’innegabile tensione venuta a galla in questi giorni deflagri in un plateale duello. Le dichiarazioni del commissario all’Economia non sembrano destinate a mutare la sostanza dei rapporti tra l’ex premier e la presidente del Consiglio in carica, che continuerà a pensare che l’alto dirigente del Pd sia un avversario, più che un alleato.
La questione è tutta politica. Perché dentro FdI, come nella Lega e in Forza Italia, restano convinti che Gentiloni punti non a candidarsi in Europa né a prendere un giorno il posto di Elly Schlein, quanto a correre da candidato premier di una futura, o futuribile, coalizione di centrosinistra. «Per Giorgia il modo migliore per difendersi è attaccare per prima», interpreta le uscite pubbliche dell’inquilina di Palazzo Chigi un meloniano di ferro, che da un anno a questa parte monitora le mosse di Gentiloni. E se Meloni è partita all’attacco del politico italiano che conta di più a Bruxelles, è perché pensa che non abbia fatto abbastanza per aiutare Roma su dossier cruciali come il Pnrr e il Patto di stabilità.
Una fiducia che forse non c’è mai stata, difficilmente potrà consolidarsi, ma la conferenza stampa di Bruxelles ha placato le acque e fatto scattare anche qualche sorriso di soddisfazione a Palazzo Chigi come al Mef. Intanto per l’affermazione di Gentiloni che l’antica questione di Ita gli «sta a cuore», per quanto non faccia parte delle sue competenze. Il commissario riconosce che il governo ha «lavorato molto» per arrivare a una soluzione e si impegna a dare una mano. È quel che Giorgetti voleva ottenere quando a Nuova Delhi, preso da parte dal commissario che Salvini accusa di giocare «con la maglia di un’altra nazionale», gli ha chiesto «un aiuto per l’Italia». Il ministro pensa che l’aiuto arriverà e che Gentiloni «farà tutto ciò che serve per assicurare rapidamente l’istruttoria Ita-Lufthansa, interesse italiano ed europeo».
Il secondo passaggio che il governo ha apprezzato riguarda il Superbonus, che per Gentiloni è stato giusto eliminare. Il terzo passaggio, che a Palazzo Chigi e al Tesoro stanno rileggendo con la lente di ingrandimento, riguarda il Patto di stabilità. Gentiloni difende come «equilibrata» la proposta della Commissione e, pur convinto che faccia l’interesse dell’Italia, si mostra aperto a migliorarla e ad «accompagnare» il governo Meloni verso un’intesa sulle nuove regole di bilancio. E quando Gentiloni invita i Paesi a perseguire politiche fiscali prudenti, di certo incrocia la linea di Giorgetti e della premier sulla manovra.
Eppure l’irritazione dei meloniani non può dirsi evaporata, anche per il modo in cui il commissario ha risposto alle critiche. Quel «ci tengo al mio Paese e non voglio alimentare polemiche che danneggiano l’Italia» è stato letto dentro il partito della premier come un’accusa di tafazzismo, per quanto velata e diplomatica. Giorgetti, al pari di Raffaele Fitto, continuerà a tenersi lontano dalle polemiche, evitando di esternare quel che pensa del lavoro di Gentiloni. Il ministro dell’Economia ha incassato il sostegno su Ita e per lui è la sostanza che conta.

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