Il pericolo per Farkhunda Muhibi: essere rimpatriata dal Pakistan, dove era fuggita nel 2023, nel «suo» Afghanistan
Farkhunda Muhibi, spiega l’agenzia giapponese Kyodo News, ha un incubo: essere rimpatriata dal Pakistan, dove era fuggita nel 2023, nel «suo» Afghanistan.Porta addosso infatti quattro «marchi» insostenibili agli occhi dei talebani: 1) È una donna. 2) È istruita. 3) È una giornalista. 4) «sbarca il lunario lavorando per un’agenzia di stampa con sede negli Usa che si occupa degli esuli afghani, tra cui le manifestazioni sui diritti delle donne». Se poi (lo ignoriamo) appartenesse pure agli hazara, la minoranza sciita che gli storici fanno risalire ai mongoli ed è oppressa dai fanatici sunniti fin dal genocidio scatenato alla fine dell’800 dall’emiro pashtun Abdur Rahman Khan, non avrebbe scampo.
Lo scorso 8 marzo, Giornata della donna, mentre le rifugiate manifestavano in piazza a Islamabad e le Nazioni Unite chiedevano ai talebani la revoca dei feroci limiti imposti ai diritti femminili, un portavoce del governo talebano fissava i paletti: il governo di Kabul «si assume la piena responsabilità di salvaguardare i diritti delle donne afghane secondo la legge islamica della Sharia». E aggiungeva che questi diritti nel contesto di una società islamica «sono diversi da quelli delle società occidentali».
Tema: da che parte dovrebbero stare queste società occidentali se l’Unhcr, Amnesty International e tutte le organizzazioni umanitarie a partire dal Malala Fund della premio Nobel per la pace pakistana Malala Yousafzai, denunciano l’espulsione dal Pakistan, dal 1° aprile ad oggi, di almeno 80 mila rifugiati afghani nella scia di altri 800mila già deportati, di cui la metà donne, ragazze, bambine? Ovvio: dalla parte delle donne. I tempi, però, sono pessimi. Basti dire che tra i primi atti di Donald Trump c’è stata la sospensione dei programmi d’ammissione dei rifugiati. Inclusa Farkhunda Muhibi e tante altre donne che magari avevano addirittura lavorato per il governo afghano e gli americani nel ventennio di «aperture» appoggiate dagli Usa e che proprio agli States aveva chiesto asilo. Ma come: non era stato lui, Donald, a dichiararsi nemico dell’Islam radicale come ricorda, tra molti altri interventi, un articolo del Guardian del dicembre 2015? «La sharia autorizza atrocità come l’omicidio contro i non credenti che non si convertono, decapitazioni e altri atti impensabili che rappresentano un grande pericolo per gli americani, specialmente per le donne». Parole, parole, parole…