A due mesi dal varo del piano con cui il Governo punta ad abbatterle mancano all’appello tutti i decreti attuativi attesi
Per un’emergenza, quella delle aggressioni a medici e infermieri, che il Governo prova a tamponare con il decreto legge varato nei giorni scorsi che introduce una stretta (l’arresto differito) ce n’è un’altra, forse la più antica che colpisce la Sanità, che rimanda ancora una volta una possibile soluzione. È l’odiosa emergenza delle liste d’attesa che condanna milioni di italiani a rinviare le cure o a rinunciarci: a due mesi dal varo del piano con cui il Governo punta ad abbatterle – il decreto sulle liste d’attesa è entrato in vigore il 1 agosto – mancano all’appello tutti i decreti attuativi attesi.
Mancano le norme per far partire la piattaforma nazionale
Il decreto legge varato l’estate scorsa fissava tra i 30 e 60 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il termine per far partire alcune delle misure più importanti. Il piano dunque voluto fortemente dal ministro della Salute Orazio Schillaci, partito anche con l’handicap delle poche risorse, al momento resta al palo. Non c’è infatti ancora il decreto attuativo (atteso entro due mesi) con le linee guida che disegnano l’identikit della piattaforma nazionale sulle liste d’attesa a cui spetta il compito di monitorare i tempi delle prestazioni ospedale per ospedale interagendo con le piattaforme regionali. Manca all’appello anche il decreto (da adottare entro 30 giorni) che deve definire i poteri sostitutivi dello Stato quando le Regioni sono inadempienti nel garantire una gestione corretta delle liste d’attesa. E non c’è traccia del decreto (atteso sempre entro 30 giorni) che deve provvedere alla “Classificazione e Stratificazione della popolazione” per decidere la programmazione delle cure.
In stand by il meccanismo “salta code”
Resta poi ancora da capire la messa a terra di un’altra misura fondamentale del decreto liste d’attesa: quel “saltacode” che prevede che le Asl in caso ditempi troppo lunghi di visite ed esami garantiscono la prestazione ai cittadini pagandogliela in intramoenia o dal privato accreditato. Qui oltre a mancare ancora il protocollo Salute-Mef-Regioni (atteso entro 60 giorni) che deve decidere come impiegare le risorse non spese in passato per le liste d’attesa (erano stati stanziati 500 milioni non tutti spesi) ci si muove in ordine sparso. Alcune Regioni stanno dando le indicazioni operative ai Cup in altre ancora no e quindi si viaggia al buio: «Questo è uno strumento in più per le aziende, che si stanno dotando di regolamenti interni per applicarlo», assicura Giovanni Migliore presidente Fiaso (i manager degli ospedali) che però chiede di «intervenire anche sull’appropriatezza della domanda di cure. Fare più prestazioni non significa tutelare meglio la salute dei cittadini».
I ritardi delle Regioni, “serve commissario straordinario”
Al 30 settembre inoltre, il decreto prevedeva anche un adempimento per tutte le Regioni a cui spetta il compito di istituire l’Unità centrale di gestione dell’assistenza sanitaria e dei tempi delle liste di attesa, un organismo necessario per monitorare l’attuazione corretta della governance sulle liste d’attesa. Al momento però solo poche Regioni si sono attivate. Per Tonino Aceti presidente di Salutequità a questo punto è necessauio un intervento straordinario: «Questo ritardo sul piano è inaccettabile, incomprensibile e insostenibile per i cittadini che si misurano tutti i giorni con il problema di attese troppo lunghe per curarsi. Se Regioni e Governo ritardano ancora bisogna pensare a un commissario straordinario per le liste d’attesa».