19 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

economia

di Raffaele Ricciardi

I mercati del Vecchio continente chiudono in ribasso, Milano perde l’1,95%. Riemergono gli elementi di incertezza: debolezza della crescita cinese e nuovo contraccolpo sui prezzi del greggio, dopo che Teheran ha rigettato l’accordo Arabia Saudita-Russia. La Germania conferma il +0,3% del Pil nel quarto trimestre 2015, surplus record per il bilancio pubblico ma cala la fiducia delle imprese

Le Borse accelerano al ribasso sul finale di seduta, perdendo terreno dopo il rally di lunedì scatenato dal recupero del petrolio. Oggi – a conferma della fase di estrema volatilità – il greggio torna a perdere terreno, mentre sotto in Cina riemergono i timori per la crescita economica, che contribuiscono a far scattare le vendite sui mercati. Proprio le azioni cinesi hanno guidato i ribassi dei mercati asiatici, in scia dei quali si sono mossi quelli Europei. Milano> ha oscillato sopra e sotto la parità nella mattinata, per poi estendere le perdite e chiudere in calo dell’1,95%. In rosso anche gli altri listini: Parigi -1,4%, Francoforte -1,64% e Londra -1,25%. Andamento in calo per Wall Street che chiude in negativo: il Dow Jones ha perso l’1,14% chiudendo a 16.431,78 punti, il Nasdaq ha ceduto l’1,47% a 4.503,58 punti e l’indice S&P 500 ha lasciato sul terreno l’1,25% chiudendo a 1.921,27 punti.
Sui mercati finanziari si profila una rivoluzione che riguarderebbe anche Piazza Affari: Londra (che controlla Milano) e Francoforte stanno studiando la fusione.
Ad acuire gli elementi di tensione sul finire della seduta c’è la presa di posizione dell’Iran, il cui ministro del Petrolio, Bijan Namadar Zanganeh, ha respinto l’idea di un congelamento del livello della produzione petrolifera qualificandola come “ridicola”. L’uscita, riferita da diversi media iraniani, stopperebbe l’accordo raggiunto da Arabia Saudita e Russia – i due primi produttori mondiali di greggio –  e che chiedeva proprio ai paesi produttori di bloccare la loro produzione ai livelli di gennaio per sostenere i prezzi del petrolio. Precisazioni che raffreddano gli entusiasmi sul mercato, con il Wti che torna di schianto sotto 32 dollari alla chiusura dei mercati Ue e il Brent che scivola verso 33 dollari al barile.
Sul fronte valutario, lo yuan si è nuovamente indebolito dopo che la Banca centrale cinese ha abbassato il tasso di cambio di riferimento dello 0,17%, il maggior ritocco da un mese e mezzo, dopo i dati sul manifatturiero ancora in calo. Resta la fase di debolezza della sterlina, sulla quale pesano i timori di Brexit: la divisa britannica scambia in area 1,41 contro il dollaro, dopo aver messo insieme la peggior discesa dal 2009 nella seduta della vigilia. L’euro chiude debole a 1,1021 dollari e 123,63 yen, segnalando un ritorno dell’avversione al rischio sui mercati. Lo spread Btp-Bund è in area 135 punti base, stesso valore di ieri in chiusura, con i Btp che rendono l’1,51%.
In mattinata, la Borsa di Tokyo ha terminato gli scambi in ribasso, a causa soprattutto del rafforzamento dello yen che mette in difficoltà l’export. L’indice guida Nikkei dei 225 principali titoli ha perso lo 0,37%, chiudendo a 16.052,05 punti. Bilancio giornaliero in negativo anche per la Borsa di Shanghai, con l’indice Composite sceso a 2.903,33 punti (-0,81%), mentre Shenzhen ha lasciato sul parterre lo 0,58%.
Ricca di dati l’agenda macroeconomica: a Bruxelles il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, riferisce al Parlamento europeo sulle conclusioni del vertice Ue della scorsa settimana. In Germania, l’Ufficio di statistica ha confermato che il Pil tedesco del quarto trimestre del 2015 è cresciuto dello 0,3% rispetto al periodo precedente e dell’1,3% su base annua: sono dati in linea con le stime preliminari. Per l’intero 2015 si conferma così una crescita media dell’1,7%, che diventa +1,4% se si corregge per gli effetti del calendario. A trainare la ripresa nell’ultima parte dell’anno sono stati i consumi interni, insieme alla spesa pubblica e agli investimenti: segno di rallentamento del commercio estero, dovuto soprattutto alla debolezza dei canali di sbocco emergenti. Destatis ha anche fornito un altro dato che fotografa la solidità tedesca: il bilancio pubblico si è chiuso con un surplus record di 19,4 miliardi nel 2015, il valore più alto raggiunto dall’avanzo dopo la riunificazione. Il surplus, considerando i valori di Maastricht, è allo 0,6% del Pil; l’anno prima era stato meno della metà a 8,9 miliardi di euro.
Ancora dalla Germania, i dati sull’indice Ifo che traccia la fiducia delle imprese dicono di un rallentamento sotto le attese: a febbraio il riferimento è sceso a 105,7 punti, dai 107,3 precedenti. La fiducia, nel frattempo, in Francia si è confermata stabile a 103 punti a febbraio. Raffica di dati anche negli Usa, a cominciare dall’indice Case-Shiller stabile a dicembre. Scende invece a 92,2 punti l’indice sulla fiducia dei consumatori di febbraio, mentre le vendite di case esistenti battono le aspettative con un rialzo dello 0,4%. In calo, infine, l’indicatore della Fed di Richmond sull’attività manifatturiera: -4 punti a febbraio, peggio delle stime. L’incertezza sui mercati spinge le quotazioni dell’oro che tornano in rialzo: quando terminano le contrattazioni nel Vecchio continente, il lingotto con consegna immediata guadagna l’1,2% a 1.224 dollari l’oncia.

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