16 Settembre 2024

La relazione del governatore di Bankitalia, la velocità e il modo col quale stiamo uscendo da una doppia crisi finanziaria, dalla pandemia fino allo choc della guerra

Italia delle sorprese. La velocità e il modo con il quale stiamo uscendo da una doppia crisi finanziaria come quella dell’euro e dei debiti sovrani, dalla pandemia con il crollo delle attività economiche fino allo choc della guerra, ha del sorprendente. Ci ha pensato ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a rimarcarlo. Invitando però ancora una volta alla cautela. Perché dalle sorprese, per quanto positive, si deve passare a uno sviluppo che sia strutturale.
Con la consueta severità ma anche con incoraggiante lungimiranza e il necessario ottimismo il governatore ha accompagnato il Paese in questi anni difficili. Ma vietato illudersi che i rischi siano scomparsi. E questo per una inflazione che scende sì, ma non alla velocità necessaria; e non sempre per motivi esterni al Paese, vista la caduta dei prezzi delle materie prime. Cautela per un debito che assorbe risorse che potrebbero invece contribuire allo sviluppo. Per le tante riforme ancora da fare, la cui mancata attuazione impedisce di passare dalle sorprese a una crescita strutturale.
A confortare Visco e noi tutti, quei dati Istat che ci hanno regalato la fotografia di un Paese che quest’anno crescerà quasi dell’uno per cento. L’Italia è uscita meglio del previsto dalle crisi, ha detto il governatore. Persino più dei nostri partner. Cosa che, peraltro, fa gioire molti. Non sempre a ragione.
Forse si dimentica che quella crescita c’è, ma non è spinta da una domanda interna che resta stagnante, da consumi al rallentatore, da salari fermi e precarietà. Una precarietà che fa sì che dopo 5 anni di lavoro il 20% dei giovani abbia ancora contratti a tempo determinato, come sottolineato dal governatore. Troppi giovani e donne risultano inoccupati e spesso con condizioni contrattuali inadeguate.
A sostenere lo sviluppo sono i record dell’export proprio verso quella Germania, Francia e Stati Uniti che frenano. E che guai se non tornassero a crescere in maniera sostenuta, visto che sono i nostri partner migliori e benzina per il motore dello sviluppo italiano. La creazione di prodotto interno lordo non è una gara, tantomeno tra Paesi che fanno parte di una stessa squadra. Il Pil, il suo aumento, è garanzia di politiche che possano permettere di superare i colli di bottiglia storici del nostro Paese.
La stabilità di una maggioranza così solida che vuole governare cinque anni è uno degli elementi che possono garantire lo sviluppo con scelte di lungo periodo. Qualcuna la si è vista ieri al Consiglio dei ministri.
È stato esaminato ieri il disegno di legge di valorizzazione, promozione e tutela del made in Italy. Il riordino delle agevolazioni per le imprese impegnate nella transizione che si compone di quel combinato di tecnologie, sostenibilità e attenzione ai cambiamenti climatici, ne è un esempio. Purché, nell’attesa del nuovo non si perda il vecchio di quegli aiuti che hanno permesso in campo digitale e tecnologico la tenuta del sistema manifatturiero in questi anni.
La riforma del Fisco messa di nuovo al centro delle politiche di bilancio è un altro segnale nella giusta direzione. Ma senza alcuna indulgenza verso l’evasione fiscale. Che ancora il numero uno di Banca d’Italia ha indicato assieme al «sommerso» come uno degli elementi che danneggia le aziende a più alto potenziale alterando i meccanismi della concorrenza. E quindi la crescita oltre che la civile convivenza.
Per anni la mancanza di disponibilità di fondi ha funzionato da alibi per non fare. Oggi quell’alibi è caduto. L’Italia ha avuto a disposizione 126 miliardi tra il 2014 e il 2020 sotto forma di fondi europei nazionali e di coesione. Ne sono stati spesi solo il 34%. Altri 80 saranno pronti da qui al 2027. A questi vanno aggiunti i circa 220 del Pnrr. Non si può fare tutto, ma molto sì.
Si può non perdere tempo sul Pnrr, come ha chiesto Visco. Semplificare è importante. E l’emendamento sulla Corte dei Conti e sul controllo concomitante avrà un senso se significherà un’assunzione di responsabilità da parte della pubblica amministrazione e dello Stato. E non un attacco alle prerogative di una parte di esso.Buona parte della nostra recente crescita la si deve certo ai sostegni che i vari governi che si sono succeduti hanno indirizzato a famiglie e imprese per resistere alle crisi. Ma anche a quelle aziende che non si sono mai fermate. Che hanno continuato a investire, a produrre.
Si sorprende dell’aumento del Pil chi ha prestato poca attenzione alle imprese e alle eccellenze italiane. Quanti governi in Europa hanno dovuto sostenere con miliardi di euro e addirittura nazionalizzare le società elettriche durante la crisi energetica? L’Italia no. La velocità con la quale abbiamo proceduto a una diversificazione delle fonti di approvvigionamento per il gas non ha eguali tra i nostri partner. E l’export da cosa è trainato se non dalle eccellenze piccole, medie e grandi sparse per il Paese?
Attenzione però a chiudere gli occhi sui segnali di rallentamento che si intravedono sul fronte della produzione. Dalle banche arrivano le preoccupazioni di chi osserva le aziende ripensare gli investimenti a causa di un costo del denaro per prestiti e mutui cresciuto per combattere l’inflazione. Accelerare sul fronte del Pnrr significa anche sopperire alla frenata degli investimenti privati con quelli pubblici reinnescando un circolo virtuoso.
Accelerare significa, con le riforme previste nel piano, fare sì che lo Stato sia più efficiente. Si pensi solo alla giustizia le cui lentezze e asperità sono considerate dagli operatori esteri come il maggiore ostacolo ai loro investimenti in Italia.
Come pure non ci può essere crescita strutturale se nella popolazione compresa tra 25 e 34 anni i laureati in Italia sono meno del 30% contro una media europea del 40 e il 50% di Francia e Spagna. Se negli anni non saremo capaci di invertire la tendenza sarà un’illusione partecipare alla nuova economia fatta di conoscenza, competenza e formazione. Le sorprese purtroppo possono anche cambiare di segno.

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