19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

In Siria la risposta al califfato di al Baghdadi ha seguito fin dall’inizio un binario militare e uno politico. Il secondo, più volte invocato, è ogni giorno più paralizzato dal primo

È la minaccia delle jihad a tenere uniti, come un ponte insanguinato, i due appuntamenti di alta diplomazia internazionale che Roma ospiterà da oggi a domenica. Prima i «Dialoghi mediterranei» organizzati dalla Farnesina e dall’Ispi avranno il compito di ricordare a tutti che per far fronte alle crisi non esistono soltanto risposte militari. Poi, domenica, sarà la volta di un vertice sulla Libia. E così l’orrore appena fatto uscire dalla porta rientrerà dalla finestra con tutto il suo potere deflagrante, che dalla Siria e dal quartier generale dell’Isis disegna un arco di fuoco fino al piccolo califfato di Sirte.

Al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni va dato atto di questa centralità italiana che non è stato facile ottenere e che sarà difficile conservare. Per l’Italia come per altri, perché le due crisi in questione e i loro complessi collegamenti terroristici e migratori si trovano in uno stato di disgregazione politica e geopolitica che lascia poco spazio alle soluzioni auspicate da Roma e più in generale dall’Occidente.

In Siria la risposta al Califfato di al Baghdadi ha seguito sin dall’inizio due binari, uno militare e l’altro politico. Il secondo, più volte invocato ma in realtà già esistente, è ogni giorno di più paralizzato dal primo. Nel processo di Vienna è indispensabile coinvolgere le formazioni che combattono contro Assad, e si tenta di crearne un elenco? L’Arabia Saudita ricompatta il fronte sunnita ma esclude i curdi invisi alla Turchia, la Russia definisce «terroristi» (e dunque non interlocutori) quasi tutti i nemici di Assad e l’Iran fa altrettanto, l’America prova a salvare il salvabile (lo farà Kerry a Mosca la settimana prossima) ma Obama esita ad alzare la voce. Il binario militare, così, prende fatalmente il sopravvento, ognuno spara e bombarda secondo i suoi interessi, i turchi pensano all’impero ottomano e puntano su Aleppo-Homs-Mosul, Putin vuole garantirsi un ruolo politico durevole in Medio Oriente e assicura di non aver mollato Assad per il dopo-transizione, l’Iran lo tiene d’occhio, gli americani si apprestano a mandare gli Apache in Iraq, promettono distruzione all’Isis e pianificano le battaglie di Ramadi (già in corso), di Mosul e soprattutto di Raqqa, «capitale» dell’Isis. Tutti in Occidente capiscono che la ricerca di una intesa politica sul futuro della Siria è entrata in una fase decisiva e di grande fragilità, non pochi sanno però anche che la lotta all’Isis va comunque fatta, e con mezzi adeguati, perché lì si trova la minaccia più grave e più geograficamente estesa. Accanto alle bombe servono truppe di terra, è il ritornello generale. Toccherà ai curdi (Turchia contraria), a formazioni miste di sunniti siriani e di curdi (patrocinate dagli Usa), a piccoli reparti di truppe speciali occidentali e forse russi? Più zoppica il binario di Vienna, più si rafforza quello militare. E più emerge il conflitto inter-islamico dei sunniti contro gli sciiti, con al suo interno gli interessi dei singoli Stati.

È meritevole, come accadrà da oggi a Roma, ricordare che esiste un terzo binario fatto di conoscenza, di cultura, di propensione al dialogo e alla collaborazione. Se sia anche realistico, saranno i fatti a stabilirlo. Ma è comunque positivo che l’Italia abbia proposto di ospitare, forse in gennaio, un ennesimo tentativo di trovare autentici denominatori comuni nelle presunte coalizioni anti- Isis.

Non sarà molto più lieto, il rompicapo libico che attende il vertice di domenica. La mediazione León è fallita nel peggiore dei modi, alimentando cioè una ostilità verso l’Onu e «gli stranieri» che si è tradotta, paradossalmente, in una mini-intesa tra i parlamenti di Tripoli e di Tobruk. Evento poco significativo nel caos generale, che potrebbe risultare utile unicamente se accettasse di essere complementare agli sforzi del nuovo mediatore Martin Kobler. Ma davanti ai troppi buchi nell’acqua diplomatici si vanno facendo strada due urgenze che verosimilmente avranno il loro peso nell’incontro di Roma. Primo, non si può mediare all’infinito rimanendo ostaggi della frammentazione libica. Secondo, il rafforzamento della testa di ponte dell’Isis a Sirte (destinata a crescere ancora se prenderà corpo un attacco a Raqqa, e già in espansione verso i campi petroliferi) pone problemi di sicurezza immediati, e particolarmente acuti per l’Italia e l’Europa se viene preso in conto anche il flusso dei migranti.

Il vertice, presieduto da Italia, Usa e Onu, cercherà di dare un «impulso decisivo» alla mediazione di Kobler. Sapendo però che se nulla cambierà a Tripoli e a Tobruk si dovrà fare un accordo con chi ci sta, per varare poi una risoluzione dell’Onu sulla stabilizzazione del Paese. In che modo? Lo strumento militare non è il preferito ma non è nemmeno escluso, i nostri alleati si stanno discretamente preparando, e l’Italia, se così andranno le cose, dovrà fare le sue scelte.

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