19 Settembre 2024

La nuova strategia di Piantedosi per vincere il braccio di ferro sui mille naufraghi in mare da giorni. Così, anche se l’Italia ne autorizzasse lo sbarco, la gestione ricadrebbe sui Paesi di bandiera

Richiesta di protezione internazionale a bordo delle navi umanitarie per radicare la responsabilità della gestione dei migranti soccorsi in capo allo Stato di bandiera. Solo in questo caso l’Italia potrebbe acconsentire a concedere il porto di sbarco, far scendere a terra le persone e mandarle subito nel Paese europeo che, a questo punto, vaglierebbe le richieste di asilo, si farebbe carico dell’accoglienza e degli eventuali rimpatri di chi non ha diritto.
È nelle regole del diritto d’asilo che il tecnicissimo ministro dell’Interno del governo Meloni Matteo Piantedosi sta cercando la via di fuga per uscire, tenendo il punto, dall’impasse che – è solo questione di giorni – si presenterà: con le tre navi a ridosso delle acque territoriali italiane che cercano riparo dal maltempo, i quasi 1.000 migranti in forte sofferenza, le condizioni sanitarie che precipitano, i rischi per la tenuta della sicurezza a bordo che potrebbero giustificare la dichiarazione d’emergenza da parte di qualche comandante per forzare la mano.

Meloni: “Cambio di posizione dell’Italia”
Piantedosi sa di non potersi permettere di perdere il suo primo braccio di ferro con le Ong, «navi pirata» le ha definite Giorgia Meloni. E sta lavorando per blindarsi dal rischio di vedersi costretto (come sempre è accaduto con Salvini ministro dell’Interno), magari da un magistrato, a far entrare le navi. Sarebbe uno smacco insopportabile per Giorgia Meloni che ancora ieri a Bruxelles, nel suo primo incontro europeo, ha annunciato «un cambio della posizione dell’Italia, per cui la priorità diventa una priorità già prevista nelle normative europee, che è la difesa dei confini esterni. E ho trovato orecchie disponibili all’ascolto».
Quanto siano effettivamente disponibili le orecchie degli altri Paesi europei è tutto da vedere. A cominciare dalla Germania che – dopo aver invitato l’Italia a soccorrere rapidamente le navi umanitarie – si è vista recapitare una richiesta di informazioni da Farnesina e Viminale tra cui appunto quella sulla eventuale domanda di protezione internazionale avanzata dai 184 migranti a bordo della Humanity 1. Una richiesta retorica visto che mai nessun migrante ha chiesto asilo prima di scendere a terra.

Le regole dell’asilo
Cosa che però la legge consente ed è proprio lì che si insinua la strategia di Piantedosi per aggirare il trattato di Dublino: le navi sono infatti territorio dello Stato di bandiera, dunque chi chiede asilo a bordo è come se lo facesse in quel Paese che a questo punto dovrebbe farsene carico sgravando l’Italia. Che così, se dovesse autorizzare l’approdo delle navi umanitarie, non sarebbe costretta a tenersi nessuno dei migranti. Una soluzione che terrebbe ferma la linea dura del governo Meloni, eviterebbe all’Italia la censura per eventuali trattamenti disumani nei confronti delle persone salvate e metterebbe ancora una volta gli altri Paesi europei di fronte alla responsabilità della condivisione della gestione dei flussi migratori. Andando ben oltre quel meccanismo di redistribuzione su cui è stato trovato un accordo faticoso che porta via dall’Italia un numero minimo delle persone sbarcate.

L’approccio con gli altri Paesi europei
Un cambio di strategia che Piantedosi ha annunciato ieri agli altri Paesi del gruppo Med5, Cipro, Grecia, Malta e Spagna. «Rafforzare i canali di ingresso regolari nella Ue per contrastare il traffico dei migranti riducendo sia i naufragi sia i profitti criminali». Al ministro degli Esteri Antonio Tajani il compito di ammorbidire, dopo lo scambio di mail tra Berlino e Roma, la collega tedesca Baerbock: «Con un Paese amico come la Germania dobbiamo collaborare. L’Italia non si tira indietro quando si tratta di salvare vite umane, ma le regole vanno rispettate, dobbiamo sapere chi c’è a bordo».

Le ong: ” Il capitano di una nave soccorre, non identifica”
Capita l’antifona, anche le Ong cambiano strategia: la Ocean Viking ha chiesto aiuto a Spagna, Grecia e Francia. «Il capitano di una nave che soccorre persone in mare – dice Alessandro Porro, presidente di Sos Mediterranée – non è obbligato a identificarle ma a soccorrerle. La prassi prevede che l’idenficazione sia effettuata al momento dello sbarco dalle autorità competenti».

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