Le statistiche dicono che nel 2020 ci sono state 42 mila dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni, e il 77% erano donne. Ma ci sono anche segnali diversi
Stefania Bertè ha 33 anni, lavora in una società di consulenza e questa settimana andrà in maternità. Cosa c’è di strano? Niente. E tutto. Perché Stefania ha ricevuto l’offerta di lavoro, dopo una selezione molto lunga, alla metà di aprile, negli stessi giorni in cui ha scoperto di essere incinta. Quando il suo attuale responsabile l’ha chiamata per comunicarle la notizia (lei aveva già un contratto a tempo indeterminato in un’altra azienda), ha replicato spiazzandolo: grazie, ma anche io devo darvi una notizia, aspetto un bambino. Era pronta a un arrivederci e grazie. Invece si è sentita dire congratulazioni e, dopo un ultimo rapido consulto interno: l’assumiamo. L’azienda si chiama Tack Tmi (Gi Group), ha una cinquantina di dipendenti e un’amministratrice delegata, Irene Vecchione, mamma di una bambina di dieci anni. Quando le abbiamo chiesto quanto avesse contato essere madre nella scelta di supportare la candidatura di una donna incinta, ha risposto che sicuramente la sua esperienza privata le dà, in generale, una maggiore capacità empatica. Ma, soprattutto, che non se la sentiva, di penalizzare la candidata con i requisiti migliori in tutte le fasi di selezione per la maternità imminente, che non poteva diventare un handicap.
Cecilia, questo è il nome scelto da Stefania e da suo padre Aldo, nascerà intorno a Natale e ci ricorda due cose. La prima è che le donne al vertice possono davvero fare la differenza (ed è quello su cui si stanno impegnando le manager entrate nei cda delle società italiane quotate in borsa grazie alla legge Golfo-Mosca: erano il 7% nel 2011, ora sono il 41%). E che non si può parlare di donne e lavoro sui giornali, alla radio e in televisione, e chiedersi perché sono penalizzate, senza sceglierle come interlocutrici privilegiate. L’Italia non è un Paese per mamme. Ce lo dicono le statistiche (nel 2020 ci sono state 42 mila dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni, e il 77% erano donne) e ce lo dicono le testimonianze di chi ancora si sente chiedere, in fase di colloquio, se desidera avere figli (l’odiosa consuetudine delle dimissioni in bianco, scongiurata dalla legge che convalida esclusivamente quelle comunicate per via telematica, ha trovato un nuovo alleato nel mobbing). Ma l’Italia può cambiare e deve farlo. E non può riuscirci senza ascoltare, questa volta, prima le donne.