23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Roger Abravanel

La nostra classe dirigente è stata più «casta» che «élite». Non solo nella politica, ma anche negli affari, nelle banche, nella Pubblica amministrazione


Le élites italiane attaccate dai partiti populisti sostengono da mesi che questi attacchi rischiano di privare il paese della competenza necessaria per farlo (ri) partire. Questa tesi si è recentemente arricchita di una nuova dimensione : opinionisti , giornalisti e accademici dicono che, oltre a essere competenti, possono essere anche «buone» e sensibili ai problemi della società , in questo distinguendosi dalle ben note «caste» che sono «cattive» perché puntano solo a conservare i propri privilegi. Secondo questa tesi, le élites sono diverse dalle caste.
In realtà non è sbagliato sostenere che le élites possono avere competenza e anche comportamenti etici, ma non è questo il problema : le élites, per essere davvero all’altezza del compito devono essere il risultato di un processo di selezione meritocratica fortemente competitivo. Per entrare e restare nell’élite , una persona deve essere migliore sotto il profilo del merito individuale di altri che ambiscono alla sua posizione.
Non per nulla , il termine «élite» deriva dal latino «eligere» («scegliere») ed e’ stato utilizzato agli inizi del secolo scorso da un italiano, Vilfredo Pareto, per distinguere le élites dalle Aristocrazie che ereditavano potere e ricchezze , non necessariamente meritate. La differenza con le «caste» sta proprio qui : si diventa membri delle caste grazie a una cooptazione anti competitiva da parte di persone che arrivano al potere e alle ricchezze spesso fuori dalle regole del mercato e della morale.
Nel mondo occidentale è in corso un attacco senza precedenti alle élites da parte di gruppi eterogenei: politici populisti , accademici che rinnegano la meritocrazia delle grandi università e , recentemente , perfino il Papa. In molti paesi del mondo, la preoccupazione delle élites italiane di buttare via il bambino della competenza assieme alla acqua sporca del privilegio , sembrerebbe perfettamente centrata. Ma da noi non è.
Nel caso delle élites italiane degli ultimi 30-40 anni, di selezione competitiva e meritocratica se ne e’ vista poca , al contrario del resto del mondo occidentale e in particolare di quello anglosassone.Per questo , la classe dirigente italiana e’ stata più’ «casta» che vera «élite». E non parliamo solo della politica , ma anche del mondo degli affari ,delle banche , della Pubblica amministrazione e delle istituzioni .
Il problema dei nostri partiti populisti non è il rischio della perdita di una competenza che non c’è mai veramente stata. Criticano i «signori della finanza», gli intellettuali «radical chic» , il «Governo delle banche» e le istituzioni europee in modo non troppo diverso da Matteo Renzi che voleva rottamarli in blocco. Il problema è che, rifiutando la competizione e il mercato , rischiano di (ri)creare le caste.
La casta dei piccoli commercianti che da sempre si oppongono alla spesa di domenica , in contrapposizione con l’innovazione prima della distribuzione moderna e adesso dell’ e-commerce.Quella dei tassisti che da sempre si oppone alla concorrenza di altri taxi ( più’ licenze), degli Ncc e adesso di Uber .La casta dei sindacalisti della scuola che si oppongono allo utilizzo dell’Invalsi alla maturità che permetterebbe di valutare la qualità delle scuole e eliminare una volta per tutte lo scandalo dei 100 e lode al sud doppi che al nord.
Piccole caste che alla fine rafforzano grandi caste : sindacati , cooperative di taxi,Confcommercio .E infine il rischio di ricreare la «madre di tutte le grandi caste» , quella delle partecipazioni statali dove i pentastellati vogliono fare confluire Ferrovie, Alitalia ,autostrade e forse la distribuzione dell’acqua che deve essere gratis (e avremo presto l’«acqua di cittadinanza»?)dimenticando che le aziende di stato in passato sono state un simbolo di inefficienza e immoralità.
La stessa tragedia di Genova ha dimostrato chiaramente che i partiti populisti non amano la selezione competitiva : vogliono attribuire la ricostruzione del ponte di Genova senza una gara , espropriare la concessione a Autostrade e attribuirla senza gare ,ignorando le norme della Ue sul rispetto della concorrenza.
Nei loro valori anti-competizione i nostri populisti interpretano una volta di più il sentimento di gran parte degli italiani che, sotto sotto , accettano la competizione solo negli stadi . Mentre gli americani, anche quelli che hanno votato per Trump contro le élites di Wall Street , continuano a credere nella competizione meritocratica : il settanta per cento,secondo un recente sondaggio , ritiene che «il loro futuro dipenda unicamente dal loro lavoro e dalla loro intelligenza». In Italia il sondaggio dimostra l’atteggiamento esattamente opposto.
I nostri partiti populisti non hanno capito che meritocrazia significa selezione competitiva e, in particolare i pentastellati , la confondono con «raddrizzare i torti», aiutando i più deboli : tagliare le «pensioni d’oro» per alzare le minime. Tagliare vitalizi e numero di parlamentari per dare il reddito di cittadinanza. «Punire» Autostrade. E per questo, durante la campagna elettorale hanno parlato di creare un «ministero per la meritocrazia» che hanno poi, probabilmente saggiamente,abbandonato .Raddrizzare i torti e aiutare i più deboli, se fatto bene ,è encomiabile , ma non è la meritocrazia. E non basta a fare ripartire il paese.
E’ giusto sostenere che le élites non sono caste. Ma fino a che gli italiani non inizieranno ad accettare la selezione meritocratica competitiva , la classe dirigente italiana sarà sempre più vicina a una casta che a una élite.

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