20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Maurizio del Conte

Disoccupazione e povertà sono collegate però sono fenomeni diversi e richiedono misure diverse. Ma c’è ancora la possibilità di ricostruire un percorso virtuoso


L’attenzione del Paese, delle forze politiche, dei sindacati, sembra ancora una volta concentrarsi sulle pensioni, non capendo che il problema centrale dell’Italia resta l’occupazione. Per superare lo stallo della cosiddetta «fase due» del reddito di cittadinanza, quella che mira all’inserimento lavorativo, è necessario ripartire dai punti di forza, riconoscendo senza infingimenti gli errori sin qui commessi. Un punto di forza c’è, ed è tutt’altro che trascurabile. Per la prima volta sono state stanziate ingenti risorse economiche per rafforzare i servizi pubblici del lavoro. Non i due miliardi che erano stati inizialmente promessi, ma nella legge sul reddito di cittadinanza sono state destinate diverse centinaia di milioni di euro per il potenziamento del personale e delle infrastrutture fisiche dei centri per l’impiego, oltre che per pagare i cosiddetti «navigator». Tuttavia, proprio l’aver inscindibilmente legato il funzionamento delle politiche attive del lavoro al reddito di cittadinanza è stato il primo, grave errore di metodo. Disoccupazione e povertà, pur essendo spesso collegate, sono fenomeni diversi e richiedono misure diverse.
I percettori del reddito dirottati verso il percorso di politiche attive sono poco più di un quarto della platea complessiva, mentre la maggior parte di loro viene indirizzata ai servizi sociali. Il dato non sorprende, se si considera che alla povertà si associano dimensioni di disagio che vanno ben oltre la mancanza di un lavoro, come il disagio psicologico, educativo, famigliare, abitativo, sanitario di chi vive al di sotto della soglia di povertà. Solo una volta risolte quelle emergenze primarie della persona è possibile avviare proficuamente un percorso di avvicinamento al lavoro, non viceversa.
Un secondo grave errore è stato definire nella legge lo stanziamento economico da destinare ai servizi per il lavoro prima di aver condiviso con le Regioni uno piano strategico nazionale di ridisegno complessivo degli oltre 550 centri per l’impiego, al quale condizionare il rilascio graduale delle risorse economiche. Infine, si è commesso l’errore di destinare troppe risorse e caricare di troppe aspettative i cosiddetti «navigator», selezionati in fretta e furia attraverso un test a risposte multiple, prescindendo dalla esperienza maturata nel campo dei servizi al lavoro. Senza considerare che l’attività di incrocio tra domanda e offerta di lavoro svolta dai navigator può essere utile soprattutto a chi è già in possesso di professionalità spendibili nel mercato. Al contrario, i beneficiari del reddito di cittadinanza sono in prevalenza soggetti particolarmente fragili, che hanno bisogno, prima e più d’ogni altra cosa, di una formazione professionale costruita su misura, che consenta loro di rimettersi in gioco nel mercato del lavoro.
Ma, grazie alle importanti risorse economiche già stanziate, c’è ancora la possibilità di ricostruire un percorso virtuoso. Occorre innanzitutto superare l’idea di un sistema di politiche attive «redditocentrico». Abbiamo bisogno di un sistema che dia risposte efficaci a tutti i disoccupati, qualunque sia la loro condizione. Un primo, immediato, segnale in questa direzione sarebbe il ripristino dell’assegno di ricollocazione, unica misura nazionale a vocazione universalista in favore di chi ha perso il lavoro, oggi limitato dalla legge sul reddito di cittadinanza ai soli destinatari del sussidio economico. Occorre, poi, rivitalizzare il tavolo di cooperazione tra ministero del Lavoro, Anpal e tutte le Regioni, per monitorare il programma di spesa delle risorse legate al reddito di cittadinanza, tenuto conto che deve ancora essere completato il grosso delle assunzioni dei nuovi operatori e degli investimenti infrastrutturali dei centri per l’impiego. In vista della scadenza, a metà del prossimo anno, dei contratti di collaborazione con i navigator, si può cogliere l’occasione per ridefinire un piano complessivo degli organici degli oltre 550 centri per l’impiego sparsi lungo la penisola, con procedure selettive che valorizzino la competenza e l’esperienza specifica acquisita sul campo. Andrebbe, inoltre, ripresa la collaborazione con le principali agenzie del lavoro europee, con le quali era già stato avviato un proficuo scambio di buone pratiche sia per quanto riguarda l’organizzazione degli sportelli fisici che per quanto riguarda i sistemi informativi e di scambio dei dati.
Infine, ma con priorità assoluta, è necessaria una radicale riprogrammazione della formazione professionale, in stretta connessione con la domanda di competenze espressa dalle imprese. Una programmazione che può essere efficace solo se realizzata in coordinamento tra i ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, le Regioni, i fondi bilaterali, gli enti di formazione, gli Its, le università e le associazioni imprenditoriali. La povertà si contrasta garantendo i diritti primari della persona, tra i quali va inserito a pieno titolo il diritto ad acquisire competenze spendibili nel mercato del lavoro.

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