EDITORIALE
Fonte: La Stampa
di Giovanni Orsina
Alla fine di questo mese la Camera dei deputati comincerà l’esame della legge elettorale che il Senato ha già votato, e sulla quale il Partito democratico si è profondamente diviso nei giorni scorsi. In questo articolo cercherò di spiegare per quali ragioni, a mio avviso, l’approvazione di quella legge sia per il nostro Paese il male minore.
Alla proposta di riforma è stato dato il soprannome di «Italicum». È un nomignolo sbagliato: se proprio vogliamo continuare a usare il «latinorum» per battezzare i sistemi elettorali (un’idea di Giovanni Sartori, e non certo fra le sue migliori), questo in realtà dovremmo chiamarlo «Prorenzum».
Un importante premio di maggioranza alla lista, che soltanto il Pd potrebbe sperare di cogliere al primo turno; un eventuale ballottaggio al quale, con Renzi, a tutt’oggi arriverebbe un grillino; la possibilità di designare dall’alto una quota importante di parlamentari; una soglia di sbarramento modesta, tale che l’opposizione ne uscirebbe con ogni probabilità frammentata e impotente.
Questa legge è un abito tagliato su misura per il presidente del Consiglio.
E non basta. L’approvazione della riforma, perfino a prescindere da suoi contenuti, renderebbe Renzi politicamente ancora più forte. Là dove al contrario, e soprattutto, la sua bocciatura lo indebolirebbe non poco. Poiché questa è la posta in gioco, si capisce allora perché nel Partito democratico e fuori di esso sia venuta montando l’opposizione: se il divario di potere fra il presidente del Consiglio e gli altri soggetti politici, che è già amplissimo, continua a crescere, poi a quello chi lo prende più? Conviene cercare di fermarlo, o almeno di mettergli delle condizioni, adesso.
Ma se così stanno le cose – si dirà – non bisognerebbe allora giungere alla conclusione che questa riforma dev’essere respinta come il peggiore dei mali? E perché all’inizio di questo articolo s’è detto invece che la sua approvazione sarebbe il male minore? La risposta breve a queste domande è che le alternative appaiono ancora peggiori. Una risposta più articolata richiede che quelle alternative siano considerate con un po’ di attenzione.
La prima possibilità è che, con un gioco di navetta fra Camera e Senato, la legge sia infine approvata in una forma diversa dall’attuale. La seconda è che si vada al voto col sistema proporzionale che la Corte costituzionale ha creato nel momento in cui ha dichiarato illegittima la legge Calderoli. Ora, nulla vieta di sperare che, se dovesse verificarsi il primo caso, sia approvata una riforma migliore dell’attuale. E che, se dovesse invece verificarsi il secondo, si apra infine una legislatura costituente: eletta con la proporzionale, come le legislature costituenti dovrebbero, e dotata d’una legittimità senz’altro maggiore di quella del parlamento attuale, che è nato da un’elezione incostituzionale.
Nulla vieta di sperarlo, però quasi tutto spinge con forza a dubitarne. Basta dare un’occhiata alle scene a dir poco surreali cui stanno dando vita le elezioni regionali, e non certo soltanto a destra: scissioni, sconfessioni e ricomposizioni; alleanze a geometria variabile; candidati d’uno stesso partito o schieramento l’un contro l’altro armati; governatori uscenti che si ripresentano col sostegno dello schieramento opposto a quello col quale hanno governato finora; elezioni primarie contestate e delegittimate; impatto destabilizzante delle questioni giudiziarie. Questo non è certo il quadro di un sistema partitico che sia in grado di decidere alcunché. Al contrario, è il quadro d’un sistema partitico in avanzatissimo, e chissà se reversibile, stato di decomposizione. E che infatti – per chi se ne sia dimenticato – gira da anni a vuoto intorno alla riforma elettorale e a quella costituzionale.
L’approvazione del «Prorenzum» genera il timore, nient’affatto infondato, che il presidente del Consiglio diventi troppo potente. Il suo fallimento lascia sperare che possano essere trovate soluzioni più equilibrate. A mio avviso, però, oggi in Italia il pericolo della paralisi decisionale è assai più prossimo e grave di quello dell’eccesso di autorità; e, date le condizioni di drammatica balcanizzazione politica, soluzioni alternative avrebbero scarsissime probabilità di materializzarsi. Da qui la convinzione che questa riforma elettorale rappresenti per l’Italia il male minore. Alla quale si aggiunge la speranza che, col tempo, un assetto istituzionale un po’ più solido promuova la nascita, in forme che oggi è difficile prevedere, di un’opposizione degna di questo nome.