I risultati delle elezioni in Germania, in diretta: affluenza alle stelle, oltre l’84%. A vincere è stata la Cdu di Friedrich Merz; Alternative fur Deutschland, al secondo posto, raddoppia i suoi consensi, mentre crolla la Spd di Olaf Scholz. Lindner lascia la politica, Habeck la guida dei Verdi. Difficili le trattative per formare il governo
Merz, costruiremo Grosse Koalition, presto colloqui con Spd
«Abbiamo un chiaro mandato e costruiremo una Grosse Koalition». Lo ha detto Friedrich Merz parlando alla Konrad Adenauer Haus. «I colloqui inizieranno nei prossimi giorni», ha spiegato, aggiungendo di voler parlare con il presidente dell’Spd e con il cancelliere per un passaggio di
consegne sensato.
La telefonata di Elon Musk alla leader dell’ultradestra
JD Vance l’aveva incontrata a Monaco, pochi giorni fa. Elon Musk non aveva nascosto il suo appoggio. E oggi, la leader di Afd Alice Weidel ha reso noto di aver ricevuto – proprio dall’imprenditore e titolare del Dipartimento per l’efficienza del governo (Doge) – una telefonata di complimenti.
«Stamattina, quando ho acceso il telefono, ho visto di aver ricevuto chiamate e messaggi dagli Stati Uniti, tra cui quelli di Elon Musk con le sue congratulazioni. Telefonerò oggi: a chi non ve lo dirò qui e ora», ha detto ai giornalisti. Questo, ha concluso Weidel, «dimostra come Afd mantiene aperti i contatti con tutte le forze politiche, compresa la nuova amministrazione americana».
Habeck lascia la guida dei Verdi
Continuano le scosse di assestamento nella politica tedesca dopo il voto di domenica: il leader dei Verdi, Robert Habeck, ha annunciato il ritiro dal ruolo del partito. «Sarebbe stato possibile fare di più, il risultato non corrisponde alle mie aspettative. Volevo ottenere di più, noi tutti lo volevamo. Questo significa per me che non avrò più ruoli di guida nel partito».
AfD, chi c’è nel cerchio magico di Alice Weidel: dal revanscista Höcke al tiktoker Ahrens
(Irene Soave) «Per fare lo stesso percorso nella Cdu ci vorrebbero vent’anni»: è una frase attribuita a una giovane Alice Weidel che spiegava così il suo ingresso in Alternative für Deutschland, allora partitino fondato nel 2013 da un circolo di professori in opposizione alle politiche della zona euro. Un partito con poca nomenclatura, come tante tra le forze fresche dell’ultradestra in Europa, facile da scalare; nel frattempo Alice Weidel (che quella frase l’ha smentita) è diventata Alice Weidel, e AfD si è liberata dei professori.
In dodici anni di lotte interne, gli esponenti più moderati si sono scornati con l’emergere della componente estremista: via l’economista Bernd Lucke, tra i fondatori; via Jörg Meuthen, sfidante interno del potentissimo leader del partito in Turingia Björn Höcke; via Frauke Petry, «orripilata» da alcune frasi razziste; tutti a fondare partitini, tutti spariti.
Dei padri resta Alexander Gauland, che a 84 anni è presidente onorario. Prima di AfD era considerato un fine giurista conservatore, studioso della Prussia e dell’impero britannico; poi una spirale di uscite famigerate — l’aver definito il nazismo «una cacata d’uccello su mille anni di grande storia tedesca», e il calciatore Boateng «un vicino di casa che nessuno vorrebbe», l’amicizia con l’ideologo di Putin Aleksander Dugin — ne ha fatto una persona non grata ovunque. Persino all’hotel Elephant di Bressanone, dove è scesa spesso anche Angela Merkel, che quest’anno ha voluto pregarlo di non venire.
Ora nel partito spadroneggia Björn Höcke, forte di successi crescenti — ieri, nella sua Turingia, AfD ha superato il 40% — e di un linguaggio revanscista: nel 2019 un programma tv chiese ai parlamentari di AfD di distinguere frasi del Mein Kampf e frasi di Höcke, e nessuno riuscì. Resta l’ex imbianchino Tino Chrupalla, che accanto a Weidel dirige il partito e che si occupa, mentre lei dialoga con l’Altissimo (Musk) di scaldare la base, gli operai dell’Est, anche nei sentimenti di vicinanza alla Russia e antiamericanismo. Chrupalla da sempre critica le sanzioni, riconosce la Crimea come russa e i talebani come legittimi, difende Putin — «Non è un criminale di guerra» — ed esce dal Bundestag se ci entra Zelensky, «un questuante».
Restano personaggi come la contessa nera Beatrix von Storch, già sostenitrice della necessità di difendere i confini in armi. O l’ambiguo Maximilian Krah, europarlamentare indagato per aver portato con sé a Bruxelles «spie» di Pechino e Mosca; e che su TikTok è protagonista di un video rivolto a quell’uomo su tre, in Germania, che «non ha mai avuto una ragazza. Non essere dolce. I veri uomini sono a destra». TikTok è del resto feudo assoluto di AfD, anche grazie alla strategia del giovane Erik Ahrens, social media manager del partito. Di recente ha detto che le donne tedesche devono mettere i loro ovociti a disposizione per aiutare la natalità; e rimediare così alla «Umvolkung» cioè sostituzione etnica, che insieme a «remigrazione», cioè rimandare i migranti da dove sono venuti, è tra le parole chiave del lessico sempre meno accademico del partito.
Merz ha vinto: «Grazie per la fiducia alla Cdu, adesso tocca a me, Subito a Parigi e Varsavia»
(Mara Gergolet, nostra corrispondete) «Grazie per la fiducia alla Cdu, e a me personalmente. Ora spetta a noi», dice Friedrich Merz. Non è passata neppure mezz’ora dagli exit poll, quando si concede l’uscita sul palco. Dice che «ha grande rispetto» per il mandato che ha ricevuto e che sa quant’è grande il compito che lo attende. Promette che si metterà al lavoro da subito, «perché il mondo là fuori non aspetta». Prima però — e mentre parla, esce un po’ il suo accento dell’Ovest renano — «Rambo-Zambo», prima si festeggia.
Un percorso interrotto
Questa è la sua rinascita a 69 anni, mentre si riprende la vita e la carriera dove l’aveva lasciata nei primi anni Duemila, quando era il delfino di Schäuble, e il giovane più promettente della Cdu. Ma quella Cdu ha rischiato di finire come la Democrazia Cristiana, travolta dallo scandalo dei fondi neri che defenestrò Helmut Kohl, e se invece è passata indenne da quello scandalo, lo deve in gran parte a una sconosciuta che venne dall’Est, e che riuscì a pilotarli fuori dalla crisi esistenziale: Angela Merkel. Per Merz, il costo personale da pagare fu altissimo. La deviazione dalla strada prefissata, la fine delle aspirazioni, e perfino — dopo aver perso i confronti interni con Angela Merkel, che semplicemente poi lo mise da parte — l’addio alla politica.
Al Merz trionfante di oggi, una dote va riconosciuta. L’incredibile tenacia, la capacità di ricominciare in un’età in cui gli altri vanno in pensione, la voglia di non arrendersi. Solo un cancelliere è entrato in carica più anziano, Konrad Adenauer, che di anni ne aveva 72, tre più di Merz. Ed è anche il cancelliere a cui per le idee Merz più somiglia.
Certo, non a tutti piace. Anzi, mai nessun cancelliere è entrato in carica con un gradimento così basso. I simpatizzanti e gli antipatizzanti più o meno si equivalgono, e pure con questo modesto risultato Merz è più gradito, secondo Politbarometer, di Scholz o Habeck. Non riesce a conquistare i cuori. Davanti all’arena di Oberhausen, dove ha tenuto il comizio conclusivo della Cdu, un cartellone tenuto da due ragazze diceva: «Herz statt Merz», (più cuore, meno Merz): gli rinfacciano poco calore umano. Non convince le donne, né i giovani. In questa campagna si sono ricordati i passi falsi del passato, quando si oppose a definire reato lo stupro nel matrimonio (disse poi che c’era già il reato di stupro, e tanto bastava) o quando negli anni Novanta fu in un certo senso la versione tedesca dello yuppismo. Un celebre brano rap dei Beginner, diventato l’inno non ufficiale della città di Amburgo, nel 2004 lo descrive così: «Invece che essere antipatici, giovani e dinamici come Friedrich Merz, da noi tutto è chill, cool e relax».
La seconda vita
Però Merz è cambiato. E non solo perché quando ha lasciato la politica nel 2009, per diventare un avvocato d’affari, presidente tedesco di BlackRock (il maggiore fondo gestito al mondo) e membro di numerosi Cda (inclusa Commerzbank), è diventato multimilionario con tanto di aereo privato che pilota da solo.
Lui dice che ha imparato a governare l’ira, a controllare il carattere, a gestire la pressione che sono da innumerevoli racconti i suoi punti deboli. Due anni fa, pronto a lanciare la candidatura, il rivale interno Hendrik Wüst, 50 anni, lo sfidò inaspettatamente pubblicando un manifesto merkeliano sui giornali «La via della Cdu è al centro». Ebbe una tale crisi di nervi — scrisse lo Spiegel —, ripetendo «stavolta mollo tutto, stavolta è troppo», che dalla Cdu dovettero chiamare la moglie Charlotte perché provasse lei a calmarlo. Però resistette e si impose lui.
Ha spostato il partito verso destra, elaborando un programma di base che sconfessa il merkelismo, impone quella tedesca come Leitkultur (cultura dominante), promette da ben prima della mozione votata con l’AfD di contenere l’immigrazione. È molto preparato, capace di ascoltare — abbassa il lunghissimo corpo verso l’interlocutore prestando attenzione. Socialmente è conservatore, così come è un conservatore sul fisco ma molto aperto al capitalismo Usa, e profondamente europeista: le tre lezioni che gli ha lasciato Wolfgang Schäuble. Come ha scritto Joseph de Weck (Grand Continent), «se ci è voluto un anticomunista viscerale come Richard Nixon per aprire alla Cina e un socialdemocratico come Gerhard Schröder per ridurre lo Stato sociale tedesco, forse anche un conservatore come Friedrich Merz potrebbe permettere alla Germania un passo avanti nell’integrazione fiscale europea».
Il mondo nuovo
Ripete spesso, lo fece anche incontrando Enrico Letta alla Hertie School di Berlino, che «senza alcun dubbio ci sarà una nuova crisi finanziaria, quel che non si sa è quando». Incredibilmente, per un uomo che si è preparato ad affrontare quest’ultima, invece, la crisi dell’Europa arriva dalla sicurezza, mentre sembrano sfaldarsi le garanzie americane e profilarsi la necessità di difendere il fianco Est dalla Russia. Prima di diventare cancelliere, ha rotto il tabù tedesco, aprendo al nucleare francese a tutela di tutta la Ue. Ieri sera, al dibattito tv con gli altri candidati, ha tracciato la linea: «Per me la priorità assoluta sarà raggiungere l’indipendenza dagli Stati Uniti». E ha annunciato, come già si sapeva, che le prime visite le farà a Parigi e a Varsavia, le capitali del triangolo di Weimar. Pensa soprattutto a loro per concordare la politica estera.
Per quei destini paralleli che tornano a incrociare la sua vita con quella di Angela Merkel, se lei dovette salvare l’Europa dell’euro, a lui potrebbe toccare di difendere quella della sovranità territoriale. E dovrà frenare la marea AfD perché, come disse nel suo ultimo incontro con i deputati Cdu Wolfgang Schäuble, se non riusciremo a farlo noi, «che Dio sia misericordioso con questo Paese». Nessuno ha in sorte quello a cui si prepara, tanto meno l’ha avuto Friedrich Merz. Ma ha aspettato troppo a lungo questo giorno per non godersi il momento della rivincita.
Cosa succede adesso: grande coalizione o patto a tre? Ecco da chi dipende il governo
(Mara Gergolet, nostra corrispondente) Si andrà all’ultima scheda. Perché la differenza l’ha fatta il piccolo partito di Sahra Wagenknecht, nato solo un anno fa dalla scissione della Linke. Ed è questa formazione della più mediatica dei leader tedeschi — tanto mediatica che secondo i suoi critici, a parte la grande presenza televisiva e una dialettica costruita in anni di studi di marxismo, Sahra Wagenknecht non avrebbe altro da offrire — che ha in mano i destini di Friedrich Merz, e anche della stabilità tedesca. Insomma, l’ultima parola spetterà alla sinistra nazionalpopulista, detta in modo pop «rosso-bruna».
Gli scenari in sostanza sono due: se Wagenknecht non entra come sesto partito al Bundestag (i liberali sembrano definitivamente fuori dai giochi), allora sarà Grande Coalizione. Se viceversa ce la fa, allora per forza si dovrà ricorrere a una coalizione tripartita, ripetendo l’esperimento che aveva introdotto Olaf Scholz, ma stavolta a guida Cdu. Quello che ha miseramente fallito.
Secondo le ultime proiezioni a mezzanotte, la Grosse Koalition in un Parlamento a cinque, avrebbe 329 seggi, ossia 13 più del quorum posto a 316. I vantaggi per Merz — e perfino per i socialdemocratici — sarebbero numerosi. Intanto, la velocità di formare il governo, che ha promesso entro Pasqua. Ma anche una maggiore omogeneità ideologica. Con la Spd, la Cdu negozierebbe abbastanza in fretta il tema al centro della campagna elettorale: una politica migratoria più dura, che già il governo di Olaf Scholz ha cominciato a introdurre. Compresi i rimpatri in Afghanistan. Certo simbolici, ma quello tedesco è l’unico governo Ue ad averli avviati. Più difficile sarà trovare un’intesa completa sulla Russia e sull’approccio al riarmo. Certamente, i socialdemocratici lo sosterranno, ma ci sono nel partito i «Russland-Versteher», quelli che «capiscono» il Cremlino, e qualche attrito è da preventivare. L’ultima cosa da tenere in considerazione è che — se Merz vorrà rilanciare l’economia — è probabile una riduzione almeno parziale dello stato sociale. Questo potrebbe essere un conto molto salato per la Spd. Tanto più che Gerhard Schröder con le sue riforme ha salvato la Germania, ma ha per sempre prosciugato il bacino di voti dei socialdemocratici. E la Linke ne è la prova, cresciuta anche stavolta a discapito della Spd.
Se invece Wagenknecht entra, l’unica possibilità per Merz è governare sia con la Spd che con i Verdi. La maggioranza sarebbe solida, 415 deputati, quasi un centinaio sopra il quorum. Ma i posti ministeriali saranno da dividere per tre, e la quota che spetta alla Cdu (e alla Spd) minore. Il secondo problema è che un siffatto governo penderebbe per metà almeno a sinistra. È facile vedere come Spd e Verdi — che già nell’esecutivo Scholz andavano d’accordo — possano concordare più di una posizione, lasciando Merz scoperto. E lui, ben più conservatore di Angela Merkel, ha promesso un governo più a destra. L’ingresso dei Verdi certamente lo aiuterebbe sulla politica estera: gli ecologisti sono stati i più lineari sostenitori dell’Ucraina, e hanno poche differenze con la Cdu. Anche sul trumpismo e sull’Europa, Merz avrà più aiuto dai Verdi che dalla Spd. Ma i due alleati di sinistra potrebbero chiedere al neo cancelliere un pegno comune. E cosa c’è di più urgente sul tavolo, viste le loro agende, che chiedere l’allentamento della Schuldenbremse? Ossia di quel freno al debito che impedisce alla Germania di avere deficit superiori allo 0,35% e quindi, di fare politica a debito? È il meccanismo che in questi anni ha frenato, o meglio impedito gli investimenti pubblici, quando la locomotiva d’Europa è entrata in crisi. Merz — che ne è un gran sostenitore — ha aperto a una sua revisione «in ultima istanza». Ma è possibile che Spd/Verdi chiedano dall’inizio proprio questo scalpo.
Chi ha vinto, e chi ha perso, in Germania: i dati
(Luca Angelini) Hanno vinto in due, ma uno solo di loro governerà, anche se non si sa ancora di preciso con chi. A voler sintetizzare al massimo, le elezioni tedesche – con un’affluenza record dell’84% – sono andate così.
Il primo vincitore (quello destinato alla cancelleria) è Friedrich Merz, 69 anni, ex grande rivale di Angela Merkel dentro i cristiano democratici della Cdu-Csu (l’alleanza dei cattolici democratici, che secondo i risultati preliminari ufficiali è al 28,5%).
La seconda vincitrice è Alice Weidel, 46 anni, il volto più noto di Afd, la formazione di ultradestra che ha raddoppiato i suoi voti rispetto al 2021, sfiorando il 21% (20,8%) e diventando la seconda forza politica del Paese (la prima in tutta l’ex Germania Est, Berlino esclusa) ma, anche se si è detta pronta a governare, verrà tenuta fuori dal «brandmauer» il muro antincendio – noi diremmo cordone sanitario – steso attorno a una formazione ritenuta in odor di nostalgie naziste.
L’elenco degli sconfitti è più lungo. Il primo è Olaf Scholz, il cancelliere socialdemocratico uscente che, secondo i dati ufficiali preliminari, vede la sua Spd al livello più basso di sempre: 16,4%.
Ma si leccano le ferite anche i Verdi di Robert Habeck e Annalena Baerbock (11,4%) e i due grandi esclusi da Parlamento causa mancato raggiungimento della soglia del 5%: i liberali di Christian Lindner (che dopo la batosta ha già annunciato il suo addio alla politica) e la «populista di sinistra» Sahra Wagenknecht.
Al Bundestag rientra invece la sinistra radicale della Linke, issatasi all’8,8% grazie soprattutto alla popolarità di Heidi Reichinnek.
Se i dati definitivi confermeranno quelli preliminari, con soli cinque partiti in Parlamento, si va verso una riedizione della Grosse Koalition fra Cdu-Csu e Spd (pesantemente sbilanciata verso la componente cristiano-democratica, visti i rapporti di forza).
Merz ha più volte detto di voler varare in fretta un governo – «entro Pasqua» – perché «il mondo non aspetta». E, di sicuro, eviterebbe volentieri di imbarcare i Verdi, invisi a molti dei suoi sostenitori (e ancor di più alla Csu bavarese). L’incognita è il possibile ingresso al Bundestag del Bsw di Wagenkencht, che secondo i dati è al 4.97%. Se a scrutinio concluso fosse al di sopra del 5%, con i seggi da ripartire fra sei anziché cinque partiti, la Grosse Koalition da sola non avrebbe più la maggioranza e servirebbe un terzo partner.