20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

Il governo è chiamato a investire per evitare un Paese all’opposizione

L’affondo di Matteo Salvini contro un governo accusato di mettere pochi soldi per contrastare il coronavirus non va sottovalutato. Per quanto strumentale e perfino scontato, l’attacco del capo leghista fa capire quanto la paura e l’incertezza dell’opinione pubblica possano essere manipolate e sfruttate: contro
Palazzo Chigi, contro l’Unione europea, e a favore della Lega.
Il leader del Carroccio può evocare 50 miliardi di euro per la ripresa: non deve spiegare se si possono trovare, né dove. Ma questo non significa che l’esecutivo non debba prevedere maggiori stanziamenti, per dimostrarsi all’altezza della sfida. Vuole dire andare oltre l’intenzione di spendere 3,6 miliardi di euro, impiegando rapidamente quei fondi. E mai come in questo passaggio l’esecutivo ha il compito di mostrare il raccordo con la Commissione Ue, ottenendo concessioni e flessibilità; e trovando altri finanziamenti in ogni interstizio del bilancio. Si è detto che la prima misura economica è quella di bloccare il contagio. Ma oggi costituisce anche il primo imperativo della politica. Non si tratta di inseguire Salvini lungo una china scivolosa e miope. Semmai, il dovere del governo è di mostrarsi un interlocutore rassicurante e affidabile sia agli occhi di una popolazione spaventata, sia di quella parte di opposizione dotata di senso di responsabilità: al di là del voto finale, FdI e FI hanno assunto un atteggiamento meno pregiudiziale verso l’esecutivo.
È l’unica maniera per impedire che il coronavirus diventi la «camera dell’eco» della strategia della paura: il riflesso tossico dell’assenza di una proposta alternativa, e dell’incapacità di interpretare una fase che richiede solidarietà. C’è un «tanto peggio tanto meglio» che sembra diventato la tentazione di una Lega contraddittoria: disposta a sedersi al tavolo del governo «senza chiedere niente in cambio»; e al tempo stesso impegnata a provocare un collasso della maggioranza. Oscillante tra la richiesta di un governo di unità nazionale, e il «no» ai provvedimenti per arginare l’epidemia. Né si capisce se l’intimazione all’Ue di aiutare l’Italia miri a garantire quel sostegno, o solo a un «no» funzionale all’ennesima campagna antieuropea. Negli ultimi giorni sembrava che tutti avessero compreso almeno la cinica convenienza a evitare una conflittualità fine a sé stessa. Evidentemente, l’istinto delle spallate a ripetizione sta prevalendo di nuovo. Non è un bene: né per un Paese affamato di chiarezza e concordia, e desideroso di superare questa fase e riprendere una vita normale; né per un governo che risente vistosamente della propria debolezza politica.
Ma questa guerriglia non fa bene nemmeno a chi, nella maggioranza e all’opposizione, si condanna alle recriminazioni e alla propaganda senza riuscire ad alzare la testa sopra un discutibile interesse personale, peraltro tutto da verificare. Non è scontato che dare fondo alle risorse a disposizione del governo disarmi i detrattori. Il problema, però, non è quello. Rispondere con il massimo impegno anche finanziario è indispensabile per evitare che all’opposizione vada non un partito o qualche leader ma il Paese: a cominciare da un Nord colpito più di altre parti dell’Italia, e ferito anche nelle sue certezze.

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