19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

La «vecchia» dirigenza Ue, che resterà in carica fino alla fine di ottobre ma si è finalmente liberata del condizionamento elettorale, avrebbe potuto preparare meglio di quanto abbia fatto sin qui i molti dossier che pesano sui tavoli di Bruxelles


Sono trascorsi quattro giorni dalle elezioni per il Parlamento di Strasburgo e il caos regna sovrano in Italia come in Europa. Con una differenza non da poco. Mentre da noi tutto è incerto ma è chiarissimo chi sia uscito leader dalle urne, in Europa si va disegnando una realtà opposta, del tutto nuova nella storia comunitaria: sta nascendo, sembrerebbe, una Europa senza leader. Senza personalità politiche trainanti, senza statisti capaci di indicare la via da seguire. Come se il Partito conservatore britannico avesse contagiato il Continente.
I federalisti, numerosi in Italia come in nessun altro Paese della Ue, forse esulteranno: finalmente, diranno in molti, vengono eliminati frenatori e condizionatori, «assi» tra Paesi potenti, riunioni e decisioni verticistiche. Illusioni, frequenti in un Paese come il nostro che ama la retorica. Ma davvero è possibile oggi immaginare una avanzata dell’integrazione o delle politiche comuni senza che ci sia qualcuno, e possibilmente più di uno,
a guidare la marcia e a reggere la bandiera bifronte delle Nazioni e dell’Unione? L’Europa della nuova stagione, quella che ha superato senza troppi problemi la prova elettorale ma che per sopravvivere deve ora ricreare la fiducia dei suoi popoli e affrontare una congiuntura internazionale avversa, ha bisogno dell’esatto contrario di una comunità senza gerarchie di fatto. Ha bisogno di leader.
Nel passato recente ce n’erano due noti a tutti, anche se non tutti e non sempre approvavano il loro stile e le loro proposte. Ma in che stato politico sono oggi, Angela Merkel ed Emmanuel Macron? La Cancelliera tedesca è soltanto all’inizio di quel «viale del tramonto» spesso evocato anche in Germania. Ma entro il 2021 al massimo sarà fuori gioco, coloro che la vorrebbero da subito in prestigiosi incarichi europei sono stati smentiti dall’interessata, e alle elezioni del 26 scorso la sua Cdu, pur vincendo, è stata per l’ennesima volta ridimensionata dai votanti. Quanto al presidente transalpino Macron, segnalatosi già due volte per proposte europeiste giuste ma anche troppo ambiziose, il suo sostanziale pareggio elettorale con i sovrano-populisti di Marine Le Pen non può che indebolirlo.
I due, in breve, rischiano molto concretamente di veder diminuita la loro statura di leader europei. E non basta, perché dicendo ancora una volta il giusto («il prossimo presidente della Commissione deve avere carisma e competenza»), Macron si è lanciato in una manovra politica anti-Merkel che pecca di nuovo per eccesso di sicurezza: il capo dell’Eliseo, visto che il Ppe avrà bisogno dei liberali per fare maggioranza a Strasburgo, ha impugnato lo scettro di vero capo del gruppo centrista Alde, e dal suo trono ancora malfermo si è messo alla testa di coloro che vedono nello Spitzenkandidat tedesco Manfred Weber un candidato evidentemente senza carisma e non competente per la presidenza della Commissione.
I rapporti franco-tedeschi apparivano logorati già prima delle elezioni, ma in Europa a tutto si può mettere una pezza. A meno che non ci sia una sfida frontale e pubblica, come quella lanciata da Macron. Chiunque vinca alla fine, le ferite resteranno. E Macron ne sarà responsabile, per i modi e per i tempi scelti in una fase tanto delicata. Così, con l’«asse» freddo tra Parigi e Berlino diventato scontro palese, e con la dubbia prospettiva che Germania e Francia continuino a fare a braccio di ferro fino al prossimo vertice di fine giugno (dubbia perché potrebbero proseguire ben oltre), la speranza di veder ripartire subito l’Europa riceve un colpo durissimo.
La «vecchia» dirigenza europea, che resterà in carica fino alla fine di ottobre ma si è finalmente liberata del condizionamento elettorale, avrebbe potuto preparare meglio di quanto abbia fatto sin qui i molti dossier che pesano sui tavoli di Bruxelles, il bilancio 2021-2027, le «diverse velocità» approvate a Roma e poi stoltamente accantonate, la riduzione dei voti all’unanimità, un nuovo sforzo per completare l’Unione bancaria e garantire i depositi, forse persino la riforma del regolamento di Dublino nella cornice di una seria riflessione sui flussi migratori. Tutte questioni che l’Europa prossima ventura dovrà affrontare e risolvere in un arco di tempo non troppo lungo.
Ma se i due leader europei (e ci riferiamo alle Nazioni, oltre che alle persone) si azzannano sul Weber-sì e Weber-no, chi può garantire che non accada lo stesso nella designazione del successore di Mario Draghi alla Bce, o che non sia già anche questa una battaglia in corso, visto che presidente della Commissione e presidente della Bce non verranno di certo dallo stesso Paese? E chi può dire che la lite non si estenderà ai dicasteri migliori della Commissione, o alla presidenza del Parlamento oggi di Tajani? Si dirà che ogni cinque anni lo spettacolo è sempre lo stesso. Non è vero. Questa volta il possibile sbocco del teatrino post-elettorale europeo è molto diverso ed è molto più grave: si tratta di costruire, anche per il dopo, una Europa senza leader e senza bussola. Nel mondo dei giganti, del nuovo ordine dominato dal trio Usa-Cina-Russia, della tecnologia trionfante, e che lascerà spazi soltanto a chi avrà saputo conquistarseli.
Beninteso speriamo di sbagliarci. Speriamo che l’Europa possa ancora produrre statisti, al di là dei risultati elettorali e del logoramento velocissimo che il mondo di Internet impone a tutti. Anche al leader italiano, se non capirà per tempo che i migranti non basteranno per sempre, e che i suoi elettori dell’Italia industrializzata tutto possono volere meno una sfida permanente ai mercati e alle dirigenze europee.

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