Fonte: Corriere della Sera
di Maurizio Ferrera
È paradossale che il conflitto tra Occidente e Islam opponga la liberale e tollerante Olanda e la Turchia, dove la religione sembrava aver trovato una forma di convivenza con il mercato e la democrazia
Oggi i riflettori della politica europea e internazionale sono tutti puntati sulle elezioni che si svolgono in Olanda. Mai nella sua storia recente questa piccola nazione era stata oggetto di così tante attenzioni. Un chiaro segno che la globalizzazione ha ormai assunto anche una dimensione politica: le scelte degli elettori di ogni singolo Paese hanno conseguenze rilevanti per tutti gli altri, soprattutto all’interno della Ue. La posta in gioco è alta. I risultati olandesi influenzeranno due questioni centrali della politica europea: i rapporti con l’Islam e il futuro stesso della Ue. Il Partito della Libertà è stato il protagonista della campagna elettorale e il suo leader Geert Wilders ha non solo fomentato la protesta contro gli immigrati extracomunitari, ma anche espressamente attaccato l’Islam, definendo il Corano come un libro pieno di odio e violenza, «più anti-semita del Mein Kampf di Hitler». L’altro bersaglio è stata la Ue, accusata di mettere a repentaglio la sicurezza fisica (attacchi terroristici) e sociale (tagli al welfare) dei cittadini olandesi. Se il partito Wilders arrivasse primo, diventerebbe molto difficile formare un governo all’Aia. Per una sorta di effetto domino, aumenterebbero anche le chance di affermazione delle varie forze «sovraniste» e xenofobe presenti in molti altri Paesi, soprattutto in Francia (dove si vota a fine marzo), in Germania (settembre) e in Italia (entro febbraio 2018).
Il caso ha voluto che il voto olandese s’incrociasse con il referendum costituzionale che si terrà in Turchia il prossimo 16 aprile. Ad alcuni ministri di Ankara è stato impedito di fare campagna presso i loro connazionali residenti in Olanda. Le reazioni del presidente Erdogan sono state durissime. I rapporti fra Turchia ed Europa non sono mai stati tesi come in questi giorni, e soprattutto così intrisi di contrapposizioni identitarie, basate su cultura e religione. Erdogan ha accusato l’Olanda di essere «nazista». Wilders ha detto senza mezze parole e con toni aggressivi che i turchi non sono né potranno mai essere europei. Osservata nel più generale contesto geo-politico degli ultimi anni (Libia, Siria, Isis), la lacerazione in corso evoca sempre più pericolosamente quello «scontro di civiltà» fra Occidente e Islam profetizzato due decenni fa dal politologo americano Samuel Huntington. Ed è paradossale che questo scontro opponga oggi proprio l’Olanda, tradizionalmente uno degli stati più liberali e tolleranti del mondo, e la Turchia, uno dei pochi Paesi in cui l’Islam sembrava riuscito a conciliarsi con il mercato e la democrazia.
Il Partito della Libertà è fortemente anti-europeo e propone un referendum sull’uscita dei Paesi Bassi dalla Ue. Di nuovo, uno sviluppo sorprendente, visto l’ampio e solido sostegno al processo d’integrazione da sempre manifestato dagli elettori e dai governi olandesi. Lo scenario di una «Nexit» analoga alla «Brexit» è totalmente implausibile (come spiega il politologo Hans Vollard in un’intervista su www.euvisions.eu). Ma l’idea ha fatto breccia sul piano comunicativo, anche per gli effetti della crisi e dell’austerità sul ceto medio-basso. Wilders è stato scaltro anche sul piano internazionale, imbastendo contatti con Marine Le Pen e altri movimenti sovranisti (Lega compresa) e islamofobi (come il gruppo tedesco Pegida). La vittoria di Wilders potrebbe fare da detonatore per una rischiosa spirale disgregativa. Con conseguenze, però, di tutt’altro segno rispetto alle promesse sovraniste. Lo scontro di civiltà con il mondo islamico diventerebbe incontenibile. Senza l’ombrello Ue, la sicurezza dei cittadini (personale, economica, sociale) sarebbe esposta a enormi pericoli, ingestibili dai fragili governi di nazioni piccole o medie tornate sovrane solo ed esclusivamente sulla carta.
Per scongiurare questo scenario l’unica soluzione è il rilancio dell’integrazione, anche se in forme differenziate. L’euroscetticismo c’è e non va sottovalutato. Tuttavia la maggioranza degli elettori dell’eurozona è ancora filo-Ue. C’è dunque spazio per iniziative politiche volte a creare, all’interno del mercato unico, un’Unione più ristretta ma più forte e compatta. In un libro che sta per uscire (Sdoppiamento: una prospettiva nuova per l’Europa, Laterza), Sergio Fabbrini delinea un interessante modello basato sulla separazione multipla dei poteri. Si tratterebbe di un assetto capace di tutelare la democrazia nazionale senza ipoteche centralistiche e al tempo stesso di incentivare scelte comuni nei settori cruciali, a cominciare dalla sicurezza, incluse le relazioni con i Paesi islamici. Al summit europeo di Malta dello scorso febbraio, il governo olandese (insieme a quello belga e lussemburghese) ha presentato un piano che punta proprio in questa direzione. Anche se Wilders conquistasse oggi quel quarto di seggi parlamentari previsti dai sondaggi, ricordiamoci domani che gli altri tre quarti saranno comunque andati a partiti filo-europei. E così avverrà in Germania e, speriamo, anche in Francia. Si tratta di un capitale politico ancora solido e rilevante. Che non può essere deluso e soprattutto non deve essere sprecato.