Wilders, di estrema destra e anti-Islam, è risultato vincitore alle elezioni di novembre. Ma non trova alleati
Ci sono i Liberali dell’ex premier Rutte: «con lui mai», poi hanno negoziato turandosi il naso. I centristi, prima viceversa aperti e poi indisponibili per «ragioni etiche». I Contadini, con lui da subito: ma hanno pochi seggi. Alla festa di Geert Wilders, vincitore del voto olandese di novembre, non si è presentato quasi nessuno: Wilders, di estrema destra e anti-Islam, è stato per anni un paria nella politica, e nemmeno ora che il popolo gli ha dato 37 seggi sui 150 della Camera si è tolto questa aura. Così rinuncerà a guidare il governo, e si abbasserà a far parte di una coalizione di destra con le tre forze di cui sopra, ma a guida altrui.
Da 5 mesi l’Olanda aspetta il nuovo premier, e non è strano: le coalizioni all’Aia, dove un formateur conduce le trattative tra partiti, sono lente. Il Rutte IV si fece aspettare 271 giorni. Ma ora c’è un ingrediente in più: l’eversivo Wilders non ha credenziali oltre ai voti. Il suo partito ha un solo iscritto, lui stesso. E il programma ha così tanti punti incostituzionali che gli altri, ai colloqui esplorativi, gli han chiesto di giurare fedeltà alla Costituzione. Lo stallo olandese mostra un apparente paradosso delle democrazie: le urne hanno sdoganato Wilders e proprio la democrazia, con i suoi pesi e contrappesi, lo tiene fuori. Un banco di prova simile si ripeterà, al voto di giugno, in Belgio. Nei sondaggi vanno fortissimo gli indipendentisti fiamminghi, e già gli osservatori si chiedono con chi potrà unirsi un partito che il Belgio lo vuole dividere.