Cosa impedisce a segmenti delle élite in grado di influenzare rilevanti settori dell’opinione pubblica di solidarizzare con Kiev e forse, domani, con Taiwan?
Al vertice della Nato a Vilnius erano presenti, in funzione anti-cinese, i rappresentanti dei Paesi dell’Indo-pacifico, alleati degli Stati Uniti: Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud. Ciò ricorda che, dopo l’Ucraina, la successiva gravissima crisi internazionale potrebbe esplodere in quella parte del mondo e riguardare il destino di Taiwan e, con esso, il futuro dei rapporti fra Cina e mondo occidentale. Taiwan non è un’isoletta sperduta: è un Paese di 24 milioni di abitanti con una democrazia compiuta e di alta qualità, e una economia sviluppatissima. Ed ha un ruolo strategico negli equilibri di potenza nell’Indo-Pacifico. Chi volesse chiarirsi le idee su ciò che è in gioco (anche per noi europei) in quella parte del mondo, dovrebbe leggere Danilo Taino, La guerra promessa (Solferino). Come reagirebbero le opinioni pubbliche europee se Taiwan fosse attaccata dalla Cina? La guerra in Ucraina ha unito i Paesi occidentali e rivitalizzato la Nato. Ma ha prodotto anche divisioni acute in Europa. In Francia, se si considerano i risultati delle elezioni parlamentari, si può constatare che il «partito filo- putiniano» è fortissimo e che, praticamente, solo il presidente Macron è la diga che impedisce alla Francia di rompere la compattezza del fronte occidentale. In Italia i successi televisivi, la dilagante presenza nei talk show dei filo-putiniani ci ha ricordato quanto ampia fosse nel Paese la corrente contraria al nostro sostegno a Kiev.
In Germania, gli antichi e forti legami con la Russia si sono oggi spezzati ma le vecchie solidarietà continuano a influenzare segmenti rilevanti dell’opinione pubblica. Se una guerra nel cuore dell’Europa non è riuscita a compattare del tutto le opinioni pubbliche, che accadrebbe se la guerra successiva si svolgesse dall’altra parte del globo? La dichiarazione di Macron di qualche tempo fa, secondo cui il destino di Taiwan non può riguardare l’Europa è una possibile anticipazione di ciò che potrebbe succedere se Xi Jinping mantenesse l’impegno, come ripete continuamente, di volere risolvere al più presto e una volta per tutte la questione Taiwan.
Quasi certamente l’Europa cercherebbe di tenersi lontana dal conflitto, forse non andrebbe al di là di blande dichiarazioni di fedeltà all’alleanza occidentale e di solidarietà con Taiwan. Ma sicuramente sorgerebbero forti correnti «pacifiste» che chiederebbero la fine dell’intervento americano e dei suoi alleati in difesa di Taiwan, e quindi l’accettazione della conquista cinese dell’isola. Proprio come fanno quelli che avversano il sostegno occidentale a Kiev. Nel caso di Taiwan tali atteggiamenti, plausibilmente, troverebbero molto ascolto nell’opinione pubblica anche perché essa non avvertirebbe immediatamente il senso di pericolo che ha suscitato l’invasione russa dell’Ucraina.
Le crisi internazionali, e massimamente le guerre, portano alla luce del sole atteggiamenti e propensioni che in tempo di pace possono restare sotto traccia. Chi, dalle nostre parti, avversa il sostegno a Kiev puntando il dito sulle «colpe» occidentali (il presunto «abbandono» della Russia dopo la fine dell’Unione Sovietica, l’espansione ad Est della Nato, voluta, guarda un po’, proprio dai Paesi che erano stati sotto il giogo dell’Urss) richiama alla mente gli argomenti usati da altri, in altri tempi. Quando Hitler invase la Polonia c’era chi stigmatizzava le responsabilità occidentali. Di certo — lo sappiamo — le dure condizioni di pace imposte alla repubblica di Weimar ebbero un ruolo nell’ascesa del nazismo. Quelle responsabilità c’erano ma Hitler andava fermato lo stesso. Ciò vale a maggior ragione per Putin e l’Ucraina dal momento che la vera (e unica) responsabilità occidentale è stata quella di non avere messo in piedi, prima dell’invasione, un credibile sistema di deterrenza a difesa di Kiev. Come quando l’Ucraina dovette cedere alla Russia le armi nucleari in proprio possesso nel 1994 in cambio di una garanzia occidentale di protezione dei suoi confini. Una protezione che si rivelò finta quando, nel 2014, la Russia si prese la Crimea e una parte del Donbass.
Cosa impedisce a segmenti delle élites politiche e intellettuali, dotate del potere di influenzare rilevanti settori dell’opinione pubblica, di solidarizzare con Kiev e forse, domani, con Taiwan? Se se ne ascoltano attentamente i discorsi si constata che nei loro ragionamenti compare sempre una doppia equiparazione: fra democrazie e regimi autocratici da un lato, fra presenza occidentale nel mondo («l’impero americano») e quella delle autocrazie dall’altro.
I meno ipocriti lo dicono apertamente, gli altri lo fanno comunque capire: le democrazie occidentali sarebbero finte democrazie, regimi che mascherano, con la retorica democratica, il dominio oligarchico, il dominio di pochi ricchi. Pudicamente non si riferiscono alle elezioni definendole «ludi cartacei» né parlano, come Mussolini, di plutodemocrazie ma l’idea è quella. E se le cose stanno così la vera differenza fra le (sedicenti) democrazie e i regimi autocratici è che questi ultimi sono assai meno ipocriti. L’equiparazione di fatto fra democrazie e autoritarismi rende ai loro occhi privi di valore gli appelli in difesa delle prime contro i secondi. E li fa essere indisponibili a schierarsi a favore di democrazie aggredite da stati autoritari: oggi l’Ucraina, domani forse Taiwan.
All’equiparazione fra democrazie e autocrazie corrisponde quella fra gli imperi veri e presunti. America, Russia, Cina starebbero nello stesso mazzo, si assomiglierebbero. Con la differenza che l’America è più potente e quindi molto più pericolosa. Pertanto, se si deve scegliere, nella competizione fra imperi, da che parte stare, è meglio opporsi all’America.
Si tenga sempre d’occhio la doppia equiparazione proposta dai più severi critici europei delle nostre democrazie. Segnala due cose. La prima è che il futuro della democrazia, anche in Europa, non è assicurato una volta per tutte. Come negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo le circostanze possono offrire a élites alienate l’occasione per farsi strada verso i Palazzi del potere.
La seconda è che per mantenere la solidarietà occidentale se e quando scoppiano guerre che rappresentano per l’Occidente una minaccia esistenziale, occorrono sia leader all’altezza della sfida sia una laboriosa e faticosa opera di convincimento per impedire che settori rilevanti dell’opinione pubblica si perdano, come nel mito, seguendo il canto di certe sirene.