19 Settembre 2024

L’attentato all’ex presidente americano. A Russia, Cina e Iran conviene che gli Stati Uniti precipitino in una sorta di guerra civile L’ingovernabilità è meglio dell’imprevedibilità di Trump

Questione di un millimetro. Fosse andato a segno il colpo di Thomas Matthew Crooks, gli Stati Uniti sarebbero precipitati in una guerra civile. Probabilmente, con il caso Biden ancora in alto mare, sarebbero andate a monte le elezioni presidenziali previste per il prossimo 5 novembre. E con il sistema statunitense paralizzato, l’intero Occidente sarebbe stato messo in ginocchio. Più di quanto non lo sia già. Impossibile, allo stato attuale, che venga alla luce qualcosa di certo circa l’identità «segreta» (ammesso che ce ne sia una) dell’attentatore. Ci verranno forniti indizi di sue passate appartenenze per giorni e giorni. Per anni, per decenni. Resta il mistero di come Crooks, dotato evidentemente di un’ottima mira e di un’indiscutibile capacità di usare le armi, abbia potuto avvicinarsi indisturbato ad una distanza di centoventi metri dal bersaglio prescelto, appostarsi e sparare. Anche qui troveremo, come sempre è accaduto, decine di persone che diranno di aver visto, previsto, avvertito e di non aver ricevuto ascolto. Un copione stranoto. Che ognuno di noi adatterà agevolmente alle proprie convinzioni preesistenti a molto prima che l’atto si compisse.
Quello che ci appare chiaro è, invece, il quadro generale che sta sullo sfondo dell’attentato a Donald Trump. Da anni un Occidente sprovvisto di leader — eccezion fatta per Joe Biden al netto dei problemi ben noti — è sotto scacco di Cina, Russia e Iran che fanno proseliti a man bassa nel cosiddetto Sud del mondo. Abbiamo nominato per prima la Cina perché è con il Paese guidato da Xi Jinping che si arriverà alla sfida finale. Pechino dà le carte, acquista intere aree economiche in ogni parte del globo, accende la luce verde alle guerre da cui pensa di poter trarre convenienza. Dispone, inoltre, nello stesso mondo atlantico di personalità che in modo più o meno esplicito (sempre ben individuabile, comunque) si son messe al suo servizio. E ha fissato l’appuntamento strategico della partita del secolo che consiste nella riconquista di Taiwan entro e non oltre il 2049. Possibilmente molto prima. Senza sparare un colpo se le cose vanno come stanno andando.
Entro quella data l’Occidente e i partner subalterni della Cina si saranno dissanguati in guerre senza fine talché, quando scoccherà l’ora di Taiwan, nessuno vorrà più saperne di combattimenti, missili, stragi. Neanche per interposto Paese. L’Europa ha dimostrato in margine alla vicenda ucraina di che pasta è fatta. Qualche buona sorpresa è venuta dai Paesi confinanti con la Russia, c’è stata una sostanziale tenuta della Gran Bretagna, in parte della Germania e, imprevedibilmente, dell’Italia (ma solo fino a qualche giorno fa). Per il resto chiacchiere, rinvii e scarsa disponibilità a spendere in nuove armi. Completato il tutto da corali invocazioni alla pace (cioè, alla resa) accolte da Putin con benevolenza e talvolta qualche cenno di derisione.
Restando al nostro continente dobbiamo però menzionare positivamente le figure apicali della Ue e della Nato che si sono mostrate all’altezza dei tempi. Compensate da due leader, Orbán (in compagnia dello slovacco Robert Fico) nonché Erdogan (solo Nato), che hanno volentieri giocato di sponda con il triangolo di cui si è detto. La partita, diciamocelo con franchezza, non è ben messa. Resta però l’incognita più importante, quella statunitense. E qui veniamo al punto. Biden, con tutti i problemi su cui torniamo per la terza volta, si è mostrato una roccia ancorché forse eccessivamente prudente nell’inviare armi a Zelensky nei tempi in cui quelle armi servivano. Con ottime ragioni, per carità. Non voleva che gli fosse imputabile lo scatenamento, magari a causa di un’avventatezza ucraina, di una guerra vera e propria con la Russia.
Ma è Trump l’incognita più grande. Putin in ogni sua dichiarazione fa in modo di farcelo apparire come una sua marionetta, come se fosse una sorta di Marine Le Pen o uno di quegli europei ai quali abbiamo accennato che da tempo si sono messi a disposizione dei cinesi. Ma l’uomo, con le sue mattane, potrebbe rivelarsi una sorpresa. Non è detto che — dovesse tornare alla Casa Bianca — si trasformerebbe in un docile esecutore degli ordini russi, iraniani e cinesi. Beninteso: per quel che ci riguarda consideriamo Biden affidabile e Trump no, assolutamente no. Ma, per andare sul sicuro, a Mosca, Pechino e Teheran una guerra civile che travolga gli Stati Uniti conviene in ogni caso assai più dell’imprevedibilità di Trump.
Con questo sia chiaro non intendiamo insinuare che quei tre Paesi o altre entità a loro collegate abbiano avuto niente a che spartire con l’attentato al Butler in Pennsylvania. Vogliamo solo dire che, se il colpo di Crooks fosse andato a segno, Cina, Russia e Iran avrebbero avuto di che gioirne. Può darsi che un bel caos a Washington ai loro occhi sia preferibile anche a The Donald.
PS. Il dibattito politico sull’attentato a Trump qui in Italia è stato monopolizzato da un’accesa discussione circa l’opportunità dello spostamento di una giornalista dalla conduzione di uno speciale del Tg1 sul caso del giorno. Questo sì che è un modo di mostrarci all’altezza dei tempi in cui viviamo.

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