22 Novembre 2024

Ciò che il mondo occidentale deve temere è il desidero di suicidio collettivo, politico e culturale, proprio di certe sue rilevanti componenti

Tregua? Forse sì. Il punto interrogativo è d’obbligo ma potrebbe essere questo il senso dell’incontro di San Francisco fra Joe Biden e Xi Jinping. Forse, a causa delle proprie difficoltà interne, lo sfidante (la Cina), la potenza in ascesa che punta a ridefinire a proprio vantaggio gli equilibri internazionali, non ha ora interesse ad affondare il coltello nel corpo dello sfidato (gli Stati Uniti), la potenza egemone in declino che cerca di salvare il salvabile dello status quo internazionale. Forse i cinesi calcolano che se è vero che l’avversario è ferito e perde sangue, è anche vero che esso è ancora sufficientemente forte da rappresentare un pericolo. Forse calcolano che occorra ancora del tempo prima che l’inevitabile accada, prima che l’egemonia americana tramonti del tutto e che in questo momento sia ancora troppo rischioso cercare di mettere gli Stati Uniti con le spalle al muro. Forse in questa fase alla Cina interessa strappare al governo degli Stati Uniti concessioni sul piano economico offrendo in cambio un impegno contro l’allargamento dei conflitti nei teatri caldi (Ucraina, Medio Oriente) in cui l’America è impegnata. Ma nessuno può illudersi che questo preluda a chissà quale svolta. La Cina non ha aiutato l’Occidente premendo sull’alleato Putin perché fermasse l’invasione dell’Ucraina. Plausibilmente, non lo aiuterà in Medio Oriente.

Tutte supposizioni, ovviamente. C’è infatti una asimmetria fra lo sfidante e lo sfidato.
Lo sfidato è una democrazia e i suoi processi decisionali sono abbastanza trasparenti: il governo risponde agli elettori. Lo sfidante è invece un regime dispotico e la sua politica è decisa segretamente da Xi Jinping e dal suo gruppo di collaboratori. Per dire che, ad esempio, nessuno sa se e quando la Cina deciderà che sia venuto il momento di prendersi Taiwan.
Si illude chi pensa che la Cina sia oggi resa meno baldanzosa sul piano internazionale a causa della crisi economica interna. Nel momento in cui la dirigenza cinese fatica a rassicurare i propri sudditi sul loro futuro economico, la salvaguardia della stabilità politica, il consenso dei sudditi e la preservazione del partito-Stato, richiedono un sovrappiù di retorica nazionalista. E la retorica nazionalista genera aggressività internazionale. Una Cina che si indebolisce economicamente può diventare, per la stabilità internazionale, assai pericolosa. Ma, in definitiva, tutto dipende da ciò che passa per la testa di un pugno di uomini che ne controllano il destino.
Si sprecano i confronti con la Guerra fredda. Ma sono sbagliati. Sia perché, a differenza della vecchia Unione Sovietica, la Cina è parte integrante del sistema economico internazionale. Sia perché non c’è niente di simile oggi ai rigidi blocchi (cementati dall’ideologia) dell’epoca del bipolarismo Usa/Urss. La rigidità del sistema internazionale di allora permise alle superpotenze (ma dopo avere superato momenti di tensione acuta, da Berlino alla crisi missilistica di Cuba) di stabilire delle regole di convivenza. Oggi i rapporti internazionali sono assai più fluidi, le alleanze meno solide di un tempo, ed è quindi difficile, se non impossibile, che le due massime potenze possano stipulare (e rispettare) un patto di convivenza nel lungo periodo.
Lo sfidante (la Cina), difficoltà economiche a parte, non guida al momento un solido agglomerato di Stati che ne riconoscano incondizionatamente la leadership. I suoi investimenti in tutti i continenti le hanno assicurato amicizie e influenza politica ma la Via della Seta (un cappio al collo per i Paesi indebitati) suscita molta diffidenza. Aspira a guidare il cosiddetto «Sud globale» ma l’eterogeneità del suddetto Sud non garantisce che l’aspirazione possa tradursi in una leadership duratura. Può contare sull’alleanza con una grande potenza azzoppata, in declino, come la Russia di Putin, ha qualche Stato vassallo (Corea del Nord), legami con l’Iran. Si è detto che detiene la leadership dei Brics ma è vero solo in parte. Dei Brics fa parte anche l’India che non è affatto un alleato della Cina ma un suo concorrente (di tutto rispetto) nell’Indo-Pacifico e altrove. Insomma, il sogno di mettere fuori gioco le «decadenti» democrazie occidentali e di creare, sulle ceneri della egemonia americana, un sistema internazionale a trazione cinese, deve fare i conti con molti e potenti ostacoli. Forse è questa la ragione dell’interesse di Xi Jinping a una parziale, temporanea, de-escalation, a una riduzione delle tensioni con gli Stati Uniti. Si tratterà di capire se il calcolo «realistico» dei rapporti di forza internazionali da parte dei dirigenti cinesi sia conciliabile con l’esigenza di mantenere il consenso interno alimentato a colpi di retorica nazionalista.
Sulla carta il mondo occidentale ha ancora molte risorse da mettere in campo per contrastare le spinte a modificare a suo sfavore lo status quo internazionale. Ma solo sulla carta. Perché tale mondo è oggi fragile (su questa evidente fragilità puntano le potenze autoritarie). La società occidentale è alle prese con l’odio per se stessa, il rifiuto di ciò che più la caratterizza, ossia la democrazia liberale, che sono cresciuti al suo interno. C’è il serio rischio di una vittoria di Donald Trump nelle prossime elezioni presidenziali americane. Se Trump vincesse l’impatto sul mondo occidentale nel suo insieme sarebbe devastante. C’è l’antisemitismo dilagante senza più freni e inibizioni. Ci sono, in tutto l’Occidente, prestigiose università, nelle quali si formano le classi dirigenti, in cui minoranze vocianti si sono votate alla causa anti- occidentale. Ci sono significative correnti di opinione filo-putiniane. Si pensi a come cambierebbero gli equilibri europei in caso di una forte affermazione elettorale di Alternative für Deutschland, l’estrema destra tedesca. O alla forza dell’estrema destra e dell’estrema sinistra in Francia. La Nato, l’Unione europea, le gambe su cui la società occidentale si sostiene, potrebbero risultare, prima o poi, seriamente indebolite.
Insomma, ciò che il mondo occidentale deve temere è il desidero di suicidio collettivo, politico e culturale, proprio di certe sue rilevanti componenti. La scommessa degli autocrati è che quel desiderio di suicidio collettivo diventi una forza irresistibile.

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