ECONOMIA
Fonte: La Stampa
Il rapporto annuale: la disoccupazione continuerà ad aumentare per tutto il 2014
La ripresa del mercato del lavoro resta incompleta: nonostante un lieve calo del tasso di disoccupazione, la situazione rimane ben lontana dai livelli di sei anni fa, prima che la crisi si abbattesse con la forza di un tornado anche sull’economia reale. L’Italia è uno dei Paesi che soffre di più: la disoccupazione continuerà a salire per tutto il 2014, arrivando a quota 12,9% contro il 12,6% del 2013 e solo nel 2015 scenderà, al 12,2%. A pagare il prezzo più alto sono i giovani: il 52,5% degli under venticinque italiani ha un contratto di lavoro precario. La percentuale è in lieve calo rispetto al 2012 (52,9%), ma è quasi doppia rispetto al 2000 (26,2%).
È una fotografia a tinte fosche quella scattata dall’Ocse nel suo rapporto annuale, presentato questa mattina a Parigi, soprattutto perché non basterà qualche indicatore positivo nella crescita per cambiare rotta. L’esercito dei disoccupati, scrive l’organizzazione, ha ormai perso le motivazioni, e il capitale umano si è impoverito. I numeri sono drammatici: 16,3 milioni di persone nell’area Ocse sono senza un posto da almeno dodici mesi. A conti fatti, l’85% in più rispetto al 2007. Per i governi, dice l’Ocse, è urgente «dare la priorità alle misure per l’occupazione e la formazione di disoccupati di lunga durata».
Le proiezioni dell’organizzazione indicano che il calo della disoccupazione scenderà fino ad attestarsi al 7,1% nell’ultimo trimestre del 2015. I risultati più incoraggianti arriveranno da Spagna (-2,2 punti percentuali), Irlanda (-2,1), Repubblica slovacca e Stati Uniti (entrambi -1.1%). Situazione ancora critica non solo in Italia, ma anche in Portogallo, Repubblica slovacca e Slovenia.
Entro la fine del prossimo anno scenderanno sotto il 5% Austria, Germania, Islanda, Giappone, Corea, Messico, Norvegia e Svizzera.
Cattive notizie pure per chi è riuscito a tenersi il lavoro, spiega il rapporto: molti hanno visto rallentare o addirittura scendere il reddito reale. È dunque urgente promuovere le riforme per «la competitività, la crescita e la creazione» di nuovi posti. Soprattutto, è necessario migliorare la qualità, partendo dal livello e dalla distribuzione degli utili, passando per la sicurezza e la qualità dell’ambiente. I più svantaggiati, dice l’Ocse, sono i giovani, i precari e i lavoratori meno qualificati. Il 70% dei lavoratori vive una “sfasatura” tra la loro occupazione e il loro percorso formativo, in altre parole, hanno qualifiche troppo elevate o troppo basse per il lavoro che svolgono o svolgono una professione che non ha nulla a che vedere con l’università frequentata.
«L’eccessivo affidamento al lavoro temporaneo è dannoso per le persone e l’economia» spiega l’organizzazione. «I lavoratori con questi contratti si trovano spesso ad affrontare un grado di precarietà più elevato e le imprese tendono a investire meno nei lavoratori assunti senza un contratto fisso». Un meccanismo incancrenito che rischia di «deprimere la produttività e lo sviluppo del capitale umano». Servono, dunque, politiche in grado di regolare meglio, e in modo più incisivo, il mercato dei contratti che portino a una riduzione del gap tra garantiti e non garantiti. Per esempio, una stretta sulle false partite Iva: l’Italia è il quarto paese dell’area Ocse per numero di lavoratori che sulla carta sono liberi professionisti, ma, di fatto, offrono prestazioni subordinate. Secondo il rapporto nel nostro Paese costituiscono il 3,2% circa dei lavoratori dipendenti nei settori dell’industria e dei servizi, una percentuale superata (di pochi decimi di punto) solo da Repubblica Ceca, Slovacchia e Grecia.