19 Settembre 2024
Usa Europa

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Gli Usa stanno convincendo l’Europa: anche l’Olanda ha deciso di varare restrizioni per l’export hi-tech verso Pechino

Si capisce perché Xi Jinping alza i toni contro un’America che lui accusa di voler «contenere l’ascesa della Cina». Joe Biden, sfruttando gli errori di Pechino (ultimo l’appoggio a Putin in Ucraina) sta riuscendo in un’impresa che sembrava impossibile: compattare l’Occidente per stendere un cordone sanitario attorno alla Cina nelle tecnologie avanzate. Gli europei si allineano. Due novità in Olanda e in Germania confermano quella che per Xi è una sconfitta: la «perdita dell’Europa», con la quale lui sperava di mantenere dei buoni rapporti a prescindere dal deterioramento con gli Stati Uniti. Dividere l’Unione europea dagli Stati Uniti era un suo imperativo strategico, che ora sembra allontanarsi. Il Giappone si muove in sintonia con il blocco occidentale, è un altro partner fondamentale per la stretta sulle forniture di tecnologie avanzate.
L’Olanda ha deciso di varare restrizioni sull’export hi-tech alla Cina. La mossa dell’Aia è una vittoria per Washington. I Paesi Bassi sono la sede della società Asml, una delle sole tre aziende mondiali che fabbricano «stampanti per micro-chip» di tipo molto avanzato. Un altro produttore è il Giappone, che aderisce alla strategia americana. Questo significa che l’industria cinese dei semiconduttori si vede privata dei macchinari di nuova generazione, indispensabili per adeguare qualità e potenza dei microchip che sforna dalle sue «fabs» (gli impianti di produzione dei semiconduttori, memorie e circuiti integrati che rappresentano il sistema nervoso di ogni apparecchio elettronico).
L’adesione di Olanda e Giappone è decisiva perché l’embargo americano sia efficace nel rallentare l’avanzata cinese nei settori di punta. Si aggiunge alle politiche industriali con cui Biden sta riportando sul proprio territorio una parte della produzione di semiconduttori. Tra coloro che si sono fatti attrarre dal mix di aiuti pubblici e pressioni politiche c’è il numero uno mondiale di questo settore, la taiwanese Tsmc che investe 40 miliardi di dollari nella costruzione di un nuovo stabilimento in Arizona.
Un’altra vittoria di Biden matura in Germania. Il cancelliere Olaf Scholz starebbe per costringere i grandi operatori telefonici a disfarsi delle infrastrutture «made in China» che avevano comprato da Huawei e Zte per passare al 5G, la telefonia-Internet di quinta generazione. Il 59% delle reti 5G installate in Germania sono di provenienza cinese. Scholz si è convinto della giustezza degli allarmi americani, sul rischio che il 5G diventi il cavallo di Troia per lo spionaggio cinese in Europa.
Che cosa spinge gli europei verso l’allineamento con gli Stati Uniti? In primo luogo un convincimento sulla strategia antagonista della Cina. Così come gli americani aprirono gli occhi sul finire della presidenza Obama e durante l’Amministrazione Trump, ora anche gli europei sono più pessimisti sulla pericolosità di Xi Jinping. Pandemia e Ucraina non hanno giovato all’immagine del governo cinese: tra bugie sanitarie e appoggio a Putin, gli atti di Pechino hanno spinto l’Unione europea nelle braccia di Washington. La ritrovata coesione dell’Occidente è uno dei «frutti avvelenati» che la coppia Putin-Xi raccoglie dalla guerra in Ucraina.
Un’altra interpretazione riguarda i do-ut-des tra le due sponde dell’Atlantico. Gli europei sono preoccupati per la politica industriale di Biden racchiusa nei due contenitori detti Inflation Reduction Act e Chips Act. Il primo è una manovra di sussidi soprattutto in campo energetico, con un forte accento sulla sostenibilità, ed anche per la ri-localizzazione in Nordamerica di produzioni come le batterie per auto elettriche. Vale 370 miliardi di dollari e ha un impatto protezionista perché per incassare quei sussidi bisogna andare a fabbricare dentro il mercato unico Usa-Canada-Messico. La recente decisione di Volkswagen di costruire batterie elettriche in America è una conferma che le multinazionali europee sono attratte dagli aiuti di Biden. L’altra manovra, il Chips Act, all’interno di un budget di 280 miliardi per l’innovazione dedica 52 miliardi a finanziare nuove «fabs» di semiconduttori. I governi europei temono un deflusso di imprese, investimenti, posti di lavoro, e una perdita di ruolo nelle tecnologie avanzate. Per la verità esistono politiche industriali europee non meno generose di quella americana — per esempio attraverso il Next Generation Eu — però quei fondi vengono dispersi in mille rivoli, spesso in una logica di orticelli nazionali, mentre l’America convoglia i suoi aiuti su pochi grandi progetti.
A sua volta l’Unione europea mette in campo la carbon border tax, dazio verde che tasserebbe le importazioni in base alla quantità di CO2 emessa per fabbricarle. Oltre a quella cinese o indiana, anche l’industria americana si considera un possibile bersaglio di questo «protezionismo ambientalista». Biden e gli europei hanno già cominciato la ricerca di compromessi. Cedere alla Casa Bianca sull’embargo tecnologico contro la Cina, facilita le contropartite americane per evitare una escalation nella potenziale guerra transatlantica dei sussidi e dei protezionismi.
Il cordone sanitario attorno a Pechino nelle tecnologie può ritardare Xi Jinping: che già agli albori della sua ascesa al potere un decennio fa, nel piano «Made in China 2025» si prefiggeva il primato mondiale in tutti i settori di punta, compresi supercomputer e intelligenza artificiale. La Cina ha già un semi-monopolio planetario per le tecnologie verdi. Politico definisce ironicamente la strategia occidentale come un tentativo di sottoporre la Cina alla «dieta paleo», l’alimentazione dei cavernicoli.

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