22 Novembre 2024

Dopo il passaggio della risoluzione, Israele ritira la delegazione attesa a Washington. Gallant: «Non abbiamo il diritto morale di fermare la guerra»

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato ieri una risoluzione che chiama in causa Israele. Nell’ultimo mezzo secolo non era mai successo . Gli Usa avevano posto il veto più di 50 volte. Ieri, per la prima volta, si sono astenuti. Così è passata con 14 voti a favore (più il non-voto americano) un testo che chiede un «cessate il fuoco immediato per il mese del Ramadan che conduca poi a uno durevole e sostenibile» e «il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi». La risoluzione sottolinea anche «l’urgente necessità di espandere il flusso di assistenza umanitaria e rafforzare la protezione dei civili nell’intera Striscia».
Non è un ordine, non ci sono minacce né ultimatum, è stato intaccato solo il buon nome di Israele. Le Nazioni Unite gli chiedono di fermare l’avanzata sulla Striscia di Gaza e permettere la distribuzione di cibo per contrastare la denutrizione che sta mettendo in pericolo la vita di due milioni di gazawi intrappolati nella Striscia. La risoluzione dice anche altre cose, inutili se rivolte ad Hamas che ha già l’etichetta di organizzazione terroristica, ma fastidiose per lo Stato ebraico, unica democrazia del Medio Oriente. Parla, ad esempio, di rispetto degli obblighi «del diritto internazionale in relazione a tutte le persone detenute» (cioè, accusa i sistemi di carcerazione israeliani oltre che le prigioni nei tunnel di Hamas) oppure «deplora» gli attacchi contro i civili (quindi i bombardamenti israeliani) e gli atti di terrorismo (ma senza nominare esplicitamente il blitz del 7 ottobre) cosa che Israele ha sempre rimproverato alle Nazioni Unite.
Nel mondo musulmano la risoluzione è stata salutata come una vittoria. Per l’ambasciatrice francese è «finito il silenzio assordante dell’Onu», Israele però ha reagito a muso duro.
Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha dichiarato che «Israele non ha il diritto morale di fermare i combattimenti mentre degli ostaggi sono ancora in mano ad Hamas. Opereremo contro i terroristi ovunque, inclusi i luoghi dove non siamo ancora stati». Un riferimento forse alla città di Rafah nella Striscia, oppure ai Paesi di esilio di alcuni leader del movimento islamista come la Turchia o il Qatar.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu da Gerusalemme ha detto che il «mancato veto americano è una chiara retromarcia» rispetto alle posizioni precedenti di Washington, ma invece di venire incontro agli alleati ha, una volta di più, chiuso loro la porta in faccia. Come prima reazione al voto, ha ordinato ai delegati che erano volati in America di tornare in patria. Avrebbero dovuto discutere a livello tecnico i piani militari per la conquista di Rafah, spiegare ai dubbiosi generali americani dove Israele ha intenzione di spostare il milione e mezzo di rifugiati palestinesi accampati a Rafah e come cercherà di minimizzare le vittime civili. Gli Usa più volte in questi giorni e a vari livelli avevano sconsigliato l’operazione considerandola troppo pericolosa per i civili e avrebbero voluto suggerire delle alternative. La Casa Bianca ha accolto la chiusura del dialogo con il governo israeliano con un laconico «disappointing», deludente.
L’ambasciatrice Usa all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha spiegato che l’astensione «non è un cambio di rotta». Il veto invece del voto favorevole nasce «da dissensi su certe espressioni», ma il «cessate il fuoco può comunque cominciare immediatamente dopo la liberazione degli ostaggi». La distanza tra Washington e lo Stato ebraico non è mai stata così grande.
Hamas si è detta immediatamente disponibile a uno scambio di ostaggi, ma solo «non appena inizierà il cessate il fuoco». Cioè la Risoluzione non porterà né un alt ai combattimenti, né la liberazione degli ostaggi.
Sul campo si intensificano i bombardamenti su Rafah, ultima città non ancora conquistata da Israele , ma anche nel resto della Striscia si continua a morire. Dopo il rastrellamento di quasi una settimana fa dell’ospedale di Al Shifa a Gaza City, altri due ospedali sono sotto assedio israeliano. Le Forze di Difesa (Idf) sostengono che Hamas abbia riorganizzato le sue cellule nei nosocomi. L’organizzazione islamista e il personale sanitario negano.

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