23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Angelo Panebianco

Quando non hai idee, l’unica cosa che puoi fare è aggrapparti al passato. È quanto sta facendo il Pd. Ma il passato non ritorna mai


Prima o poi (forse più poi che prima) il governo giallo-verde cadrà, minato dai suoi conflitti interni. Ma non è sicuro che coloro che guidano le principali opposizioni parlamentari (Pd e Forza Italia) e che, come il copione esige, si augurano pubblicamente ogni giorno che quella caduta avvenga, non provino timore per ciò che accadrebbe dopo. Dal momento che la fine del governo giallo-verde sarebbe per loro il momento della verità, l’ora in cui dovrebbero essere fatte (dall’opposizione medesima) scelte difficili e, forse, laceranti. Se sei all’opposizione puoi «fare ammuina», puoi bluffare, puoi goderti la tua (piccola) rendita di posizione. Ma se il quadro politico si mette in moto, improvvisamente viene meno ogni possibilità di bluff.
Prendiamo il caso del Pd. Ha iniziato, con l’elezione di Nicola Zingaretti a segretario, una lenta (e cauta) marcia di avvicinamento ai 5 Stelle. C’è, fra i due gruppi, un’obiettiva convergenza di interessi. I 5 Stelle, per contrastare l’alleato/nemico di governo, Matteo Salvini, trovano oggi utile «vendersi» come forza di sinistra. Non fanno nemmeno troppo sforzo. Esattamente come i loro parenti stretti, i populisti latinoamericani (i peronisti argentini, ad esempio) possono, a seconda delle occasioni e delle convenienze, buttarsi, con la stessa disinvoltura, a sinistra o a destra. Dall’opposizione, a sua volta, il Pd ha individuato in Salvini il principale nemico contro cui mobilitare le proprie truppe (molte o poche, lo vedremo) «in nome dell’antifascismo». La convergenza è nelle cose.
Chi è scettico dovrebbe guardare il programma elettorale del Pd per le prossime consultazioni europee. I programmi elettorali, naturalmente, non permettono affatto di prevedere le successive scelte concrete dei partiti nelle diverse questioni pubbliche. Quelle scelte dipenderanno dalle future, sempre imprevedibili, circostanze. Ma leggere i programmi elettorali è ugualmente utile per due motivi. In primo luogo, ci dice qualcosa sulla cultura politica di chi li ha redatti: dimmi quali parole d’ordine usi, e ti dirò chi sei, ideologicamente parlando. In secondo luogo, i programmi elettorali servono per mandare, ad altri gruppi, segnali di disponibilità per alleanze future. Il programma elettorale del Pd è chiarissimo: si invocano piani europei straordinari di investimenti pubblici (finita l’epoca, di renziana memoria, in cui si elogiava quel tempio del capitalismo privato che è la Silicon Valley), tasse sulle multinazionali, indennità europea di disoccupazione. Da un lato, si tratta di un programma di sinistra/sinistra. Il Pd, chiusa l’epoca renziana, torna alle radici. Dall’altro lato, si tratta anche di un messaggio in codice (anche se è un codice decifrabilissimo) che contiene la disponibilità ad allearsi con i 5 Stelle, ossia con l’unica forza politica, fra quelle esistenti, che non è incompatibile con le cose che si dicono nel suddetto programma.
Se il Pd avrà un forte e netto successo alle elezioni europee, allora (almeno per un po’) tutto andrà bene per Zingaretti: niente ha successo come il successo, eccetera eccetera. Ma se il suo risultato fosse così così e se, contemporaneamente o poco dopo, il governo cadesse, allora per il Pd sarebbero dolori. Perché dovrebbe sedersi a un tavolo per cercare di trattare con i 5 Stelle. E a quel punto, con la stessa inesorabilità con cui la (leggendaria) mela di Newton cade a terra anziché fluttuare nell’aria, il Pd dovrebbe fronteggiare una nuova scissione: di tutti quelli che non ci stanno ad andare a braccetto con Di Maio, Di Battista e soci.
Quella trattativa potrebbe farsi solo se i 5 Stelle perdessero consensi ma non troppo. Un loro drastico, forte, ridimensionamento elettorale non li renderebbe più un partner appetibile e plausibile per il Pd. Nel caso, invece, che le loro perdite fossero contenute la trattativa sarebbe più utile ma, al tempo stesso, provocherebbe la durissima opposizione dei tanti che, anche nel Pd, sono ostili ai 5 Stelle.
Qualcuno potrebbe dire: perché parlare solo del Pd e dei suoi futuri rapporti con i 5 Stelle? Non è forse vero che anche Forza Italia ha un problema assai simile nel confronto con la Lega? Più che giusto. Però i due casi non sono esattamente simmetrici. Sul futuro di Forza Italia pesa l’incognita rappresentata dalle scelte che farà Silvio Berlusconi. Se scegliesse, nonostante il cambiamento dei rapporti di forza fra Forza Italia e Lega, l’alleanza con Salvini, avrebbe egli la forza di bloccare l’uscita dal partito di coloro che dissentono? Non lo sappiamo. Forza Italia e Pd hanno una cosa in comune: sono figli della stagione maggioritaria e, probabilmente, sono destinati, entrambi, a trasformarsi in qualcos’altro ora che siamo tornati in regime di proporzionale. Ma sono anche diversi, per il fatto che Forza Italia è pur sempre una creatura di Berlusconi e si porta dietro l’impronta del modo in cui è nata. Il Pd, invece, non dispone di un altrettanto ingombrante fondatore. Diciamo che, forse, è più prevedibile (negli angusti limiti in cui sono prevedibili le vicende di cui ci occupiamo) il prossimo futuro del Pd che quello di Forza Italia.
Quando non hai idee, l’unica cosa che puoi fare è aggrapparti al passato. È quanto sta facendo il Pd. Ma il passato non ritorna mai. L’esito finale di questa operazione nostalgia non può che essere una convergenza fra rossi e gialli. Gli uni oppure gli altri potrebbero uscirne con la schiena rotta. Non è certo che a schiantarsi debbano essere necessariamente gli italo-peronisti.
Comunque sia, e comunque vada a finire, una cosa è sicura. Le forze che, non importa se al governo o all’opposizione, occuperanno la scena politica di domani non saranno identiche a quelle di oggi. Il suddetto domani potrebbe arrivare molto presto.

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