23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Terrorismo Parigi

di Venturini Franco

Usa e Russia devono fornire l’esempio e la leadership. Bisogna colpire la casa madre a Raqqa come a Mosul Il confine. La necessità di non superare il confine invisibile tra la paura legittima e la voglia di resa

 

La nostra paura dopo i massacri di Parigi è interamente legittima. Chi non ha pensato, ieri mattina, che potrebbe accadere anche da noi? La consapevolezza del rischio è un bene, perché aiuta a difendersi meglio. Ma soltanto a condizione che non venga superato quel confine invisibile che dalla paura porta alla voglia di resa, che dall?orrore sfocia in vani tentativi di fuga. Lo sapevamo da tempo, e ora una nuova carneficina a due passi da casa ce lo conferma: il jihadismo radicale che chiamiamo Isis è un nostro implacabile nemico. E allora dobbiamo combatterlo senza inutili tatticismi, dobbiamo difendere le nostre scelte di civiltà senza risparmiare energie, dobbiamo evitare oggi, non domani, che possa diventare verosimile la provocazione, sin qui grottesca, che Michel Houellebecq ha affidato alle pagine di Sottomissione. No, non dobbiamo sottometterci né alla paura né a una illusoria mancanza di reazione. Se la Francia viene colpita non è perché bombarda l’Isis in Siria. È perché ospita una comunità musulmana di oltre cinque milioni di persone, spesso poco integrata, spesso emarginata. Ecco allora il terreno di coltura che serve all’Isis per seminare odio e morte, ecco il grimaldello che può destabilizzare la società di un grande Paese, ecco l’occasione per far passare un messaggio in grado di intimorire i pavidi: se voi venite da noi, noi verremo da voi. Scambiare una comunicazione sottile ma ingannevole con i veri obbiettivi strategici dell’Isis, in Francia e in Gran Bretagna prima che altrove proprio perché lì vivono tanti musulmani di seconda e di terza generazione, sarebbe per l’Occidente un errore fatale. Da ovunque giungano, e qualunque passaporto abbiano, gli stragisti del momento.E bisogna acquisire, dopo Parigi, anche altre consapevolezze, anche altre determinazioni. Non si deve generalizzare l’identificazione del nemico perché non tutto l’Islam e non tutti gli islamici sono nostri nemici come vorrebbe farci credere l’Isis, che in tal modo trionferebbe. Se contro gli uomini del Califfato e contro chi tenta di imitarli è indispensabile il consolidamento di una vasta alleanza internazionale che comprenda Paesi come l?Arabia Saudita che in passato hanno finanziato movimenti terroristici, deve diventare chiaro a tutti che oggi non possono più essere ammesse o taciute quelle «licenze» sulle quali proprio gli occidentali spesso sorvolavano. L’intervento russo in Siria ha avuto se non altro il merito di svegliare una America moderatamente impegnata nella lotta contro l’Isis e altre formazioni jihadiste. È nato un processo negoziale a Vienna che si propone di colpire più duro il nemico comune facendo sedere attorno allo stesso tavolo sciiti e sunniti, turchi anti-curdi e iracheni (ma anche altri) che hanno nei curdi le loro forze terrestri più efficaci. I progressi compiuti anche ieri vanno salutati con soddisfazione. Ma la Russia di Putin deve smettere di avanzare piani ambigui sul destino politico di Assad, e irrealistici quando si parla di elezioni. Così come gli Stati Uniti (e i loro più stretti alleati europei) devono smettere di pensare che qualsiasi proposta proveniente da Mosca sia diabolicamente ingannevole e pericolosa. Sarà molto difficile trovare l’unità di tanti interessi diversi e volgerla contro l?Isis. Ma se Usa e Russia non forniscono l’esempio e la leadership necessarie, le speranze che faticosamente avanzano finiranno male. È avvilente che mezzo mondo, quello più sviluppato, stia perdendo a favore dell’Isis la guerra del web. Sappiamo benissimo come i tagliagole reclutano le loro migliaia di foreign fighters nati e cresciuti in Occidente. Con bravura, purtroppo. Ma davvero nel nostro universo tecnologico e non ancora stupido nessuno è in grado di rispondere con una campagna di discredito di pari efficacia? Davvero sappiamo proiettare soltanto paura? L’Isis oltretutto non seduce e arruola soltanto individui giovani e frustrati che partono per la Siria e per l’Iraq, oppure fanno i terroristi «dormienti» nelle nostre città aspettando l’ordine di uccidere. Recluta anche organizzazioni e gruppi interi, come si è visto di recente nel Sinai con l?abbattimento dell?aereo charter russo, e come si vede in Libia, sull’uscio di casa nostra. La Libia merita qualche parola in più, anche perché il suo caos interno è collegato ai flussi migratori che poi approdano in Italia. La mediazione di Bernardino León che l?Italia ha appoggiato a spada tratta si sta concludendo in modo inglorioso, salvo un improbabile colpo di coda. Peraltro abbiamo sempre ritenuto che un eventuale accordo diplomatico per un governo di unità, lasciando fuori le parti «cattive» sia di Tripoli sia di Tobruk, ben poco avrebbe cambiato sul terreno. Eppure presto o tardi qualcosa sarà fatto, da noi o da altri, perché mentre è unanime oggi il riconoscimento degli errori compiuti nel 2011 (e soprattutto dopo il 2011) resta la volontà occidentale di non abbandonare alla deriva le ingenti riserve energetiche del sottosuolo libico. Il ricorso alla forza, in prospettiva, non è escluso. Ma se toccherà terra (cosa non auspicabile, più che mai ora che l’Italia reclama un «ruolo guida» senza definirne i limiti), troverà sulla sua strada, assieme alle milizie unificate per l?occasione, anche un Isis libico che di certo sopravviverà al raid statunitense che ieri ne avrebbe ucciso il capo al-Anbari. La Libia è un motivo in più per colpire al cuore la casa madre, a Raqqa in Siria, a Mosul in Iraq, a Sinjar come è finalmente accaduto in questi giorni (grazie ai peshmerga curdi) privando l’Isis di un importante caposaldo sulla via di comunicazione proprio tra Raqqa e Mosul. L’Isis può perdere. Ma per arrivare a tanto noi che siamo i suoi nemici dovremo avere la forza vera, quella di creare un fronte unico politico e militare capace di sradicarlo.

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